Il business delle assicurazioni sulla vita

L'inchiesta del Wall Street Journal sui trucchi usati dalle compagnie assicurative per fare più soldi

L’assicurazione sulla vita è un tipo di contratto di assicurazione che prevede che la compagnia di assicurazioni corrisponda al beneficiario della polizza un capitale nel caso in cui sopraggiungano determinati eventi relativi alla vita del soggetto assicurato. Nel caso in cui l’evento per cui si stipula l’assicurazione sia la morte, il capitale viene corrisposto al beneficiario alla morte dell’assicurato. Si parla quindi di “assicurazioni caso morte”.

Il Wall Street Journal ha dedicato un lungo approfondimento a questo tipo di assicurazioni, e alle strategie usate dalle compagnie che le gestiscono per massimizzare i loro profitti. Il caso analizzato nello specifico è quello della Life Partners Holding, una compagnia di assicurazioni che vende polizze sulla vita a singoli clienti e poi ne rivende le quote a investitori esterni, che incassano la quota di capitale corrispondente quando l’assicurato muore.

L’operazione è possibile perché tutte le assicurazioni distinguono sempre tra contraente e beneficiario. Il contraente è appunto la persona che contrae l’assicurazione, il beneficiario è invece il titolare del diritto alla prestazione. Il che significa che il contraente può nominare se stesso come beneficiario, ma può anche nominare una terza persona. Nel caso delle assicurazioni caso morte, il beneficiario è necessariamente una terza persona.

Le persone che stipulano un’assicurazione caso morte con Life Partners sanno che il capitale della propria polizza andrà a soggetti terzi, in proporzione alle quote che questi soggetti hanno acquistato. Chi compra quote di una assicurazione caso morte già stipulata diventa quindi di fatto co-beneficiario di quella stessa assicurazione. Un investimento sicuro, insomma, fatto scommettendo sull’aspettativa di vita di uno sconosciuto.

Un investimento sicuro con una sola variabile incerta: l’aspettativa di vita del contraente. Per quanto possa essere calcolata con una certa precisione, infatti, nella maggior parte dei casi è impossibile sapere con certezza quando il soggetto che ha stipulato l’assicurazione morirà. È questo l’anello debole della catena, quello che Life Partners sfrutta per massimizzare i suoi profitti.

L’inchiesta del Wall Street Journal, che ha analizzato molte delle polizze assicurative vendute da Life Partners dal 2002, mostra infatti che la compagnia riesce a ottenere larghi introiti sottovalutando regolarmente l’aspettativa di vita dei contraenti delle polizze su cui i loro clienti investono. Il vantaggio che ne deriva è molto semplice. Se la stima è troppo bassa, gli investitori devono far fronte a due grossi inconvenienti: innanzitutto il pagamento della loro quota di capitale assicurativo viene posticipato, e poi se non vogliono veder decadere il loro investimento devono continuare a pagare i premi assicurativi al contraente. Secondo il Wall Street Journal, i guadagni promessi da Life Partners ai suoi investitori sono falsati di almeno il 10 percento.

Dalle polizze analizzate risulta infatti che nella stragrande maggioranza dei casi i contraenti non sono morti entro la data prevista dalla compagnia, ma che al contrario hanno continuato a vivere ben oltre quel termine, a volte anche del doppio o del triplo. Nel 2002, per esempio, Life Partners aveva venduto 297 polizze d’assicurazione. Se l’aspettativa di vita fosse stata davvero calcolata bene, statisticamente metà delle persone sarebbero dovute morire davvero entro i termini previsti. Invece nel 95 percento dei casi, il contraente era ancora vivo e vegeto ben oltre quel termine. La stessa cosa è stata riscontrata per le polizze vendute nel 2003 e nel 2004.

Brian Pardo, amministratore delegato di Life Partners, si difende dicendo che le quote vendute agli investitori esterni sono comunque talmente scontate che riescono a controbilanciare anche gli eventuali errori nel calcolo dell’aspettativa di vita dei contraenti. E nega di abbassare volutamente l’aspettativa di vita, sostenendo che il campione di polizze analizzato dal Wall Street Journal è troppo piccolo e non tiene conto di molti altri casi in cui invece i termini sono stati rispettati pienamente. In più, dice, gli investitori sono sempre avvertiti che il contraente potrebbe anche non morire entro la data prevista, e che comunque investire i soldi in quel modo è sempre più conveniente che investirli in banca.

Da quando è stata fondata diciannove anni fa, Life Partners ha venduto ai suoi clienti i diritti su 6.400 assicurazioni caso morte, per un valore totale di 2.8 miliardi di dollari. Nel 2009, Forbes l’ha inserita nell’elenco delle piccole aziende più prospere degli Stati Uniti. Nel 2010, i suoi guadagni totali sono stati di 113 milioni di dollari. Molti trovano offensivo che un’azienda riesca a costruire un impero speculando sull’aspettativa di vita dei suoi clienti, ma nel 1911 una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che le assicurazioni sono dei beni proprietari a tutti gli effetti e come tali possono essere venduti.