Le ferite di un cigno

Il nostro inviato a Venezia ci racconta l'accoglienza a "Black Swan", il film del regista che ha vinto il festival due anni fa

di Gabriele Niola

Il vero metro di giudizio che un inviato alla Mostra del cinema di Venezia ha per capire l’attesa e l’interesse del pubblico per un film in concorso è il numero di tweet, direct messages, sms e post in bacheca richiedenti un giudizio che riceve nel giorno della proiezione. Black Swan in questo ha battuto ogni record personale di chi scrive.

Il nuovo film di Darren Aronofsky, già vincitore a Venezia due anni fa con il bellissimo The Wrestler («Premiamo un film che ci ha letteralmente spezzato il cuore, e ovviamente sto parlando di The Wrestler» disse il presidente di giuria Wim Wenders nel consegnare il Leone D’Oro), ha infatti una lunga serie di selling point per gli appassionati. Dal gradimento della precedente pellicola (dura e scaldacuore, autoriale e appassionante quanto basta), alla presenza molto hip Natalie Portman fino ad un trailer perfetto per scatenare curiosità, tutto punta dritto all’invasione della casella messaggi dell’inviato.

La storia è quella di una ballerina classica di New York (Natalie Portman), che lotta e ottiene il ruolo da protagonista nella prossima rappresentazione di Il Lago dei Cigni: sarà sia il cigno bianco che quello nero, ovvero l’innocenza e la malizia. Per farlo però dovrà forzare la propria natura bambinesca e repressa, fomentata negli anni da una madre oppressiva e costringente. Questa forzatura è alla base di una deriva mentale che le causa continue allucinazioni, fobie, paure ma anche un incredibile stimolo. Nel corso del film l’esigenza di rappresentare un’altra sè porta come ad uno sdoppiamento. Come si capisce quindi gli eventi che coinvolgono la protagonista ricalcano quelli del personaggio che deve interpretare sul palco, facendo sì che ne segua la medesima parabola. Innamoratasi del suo direttore artistico (Vincent Cassel) teme di perderne l’affezione a favore della più smaliziata rivale (Mila Kunis) che potrebbe prendere anche il suo posto nella rappresentazione. Eva contro Eva incontra Repulsion, ma con una forte impronta di The Wrestler. Lo stesso Aronofsky infatti considera i due film come parte di un’unica idea declinata in due maniere, quella cioè di quanto le rappresentazioni artistiche si nutrano di una finzione (il racconto) che per arrivare a livelli di perfetta maestria necessità il suo opposto ovvero il realismo, le ferite vere del wrestling come la pazzia della ballerina. Tutto passa attraverso la carne (in questo il sonoro ha un ruolo perfetto), le ferite, il sangue, le mutazioni, le amputazioni e via dicendo, ad un livello tale che bisognerebbe chiedere a David Cronenberg dove si trovasse durante il periodo delle riprese del film.

Il risultato, per utilizzare la più abusata delle espressioni giornalistiche, spacca in due la critica con una lieve pendenza verso il no (almeno ascoltando i pochi applausi alla fine delle proiezioni stampa). E per operare una divisione ancor più banale, ma in effetti veritiera stando a quanto si sente nelle discussioni al Lido, Black Swan sembra essere meno gradito alla critica e ai giornalisti della vecchia guardia e più in linea con i gusti dei frequentatori più giovani.
  A chi scrive il film è piaciuto molto (a riprova dell’inequivocabile gioventù!) e sulla stessa linea si pone Colin McKenzie di Badtaste:

E poi, che dire dell’ottimo lavoro di regia di Aronofsky? Il fatto di seguire costantemente i suoi protagonisti e di rendere una sorta di balletto ogni scena è notevolissimo, con una camera a mano che non stanca mai ma ci fa vivere con i personaggi del film. Momenti supremi però sono quelli del balletto vero e proprio, all’inizio e alla fine, che sono assolutamente degni di essere paragonati al lavoro di Powell e Pressburger su Scarpette Rosse.

o Marco Triolo di MSN:

Aronofsky confeziona un film intrigante, sensuale, terrificante e terribilmente coinvolgente che ripropone topoi già visti (il tema del doppio, con annesso gioco di specchi, l’ossessione di una madre che proietta nella figlia le sue aspirazioni mancate), però con la giusta convinzione. E con ritmo e stile indiscussi
.

Di segno diverso i pareri della critica stampata, guidata dall’alfiere Paolo Mereghetti che nella sua recensione ha parlato del film come una riproposizione di stanche e abusate metafore per una storia già vista, incapace di poggiare sul suo interprete come faceva The Wrestler.

In America invece lo schieramente è più compatto a favore:

Il film è un complemento affascinante a The Wrestler, e passa dallo sporco mondo di un lottatore alla sfera più elevata ma non meno brutale del balletto professionale

scrive Peter Debruge su Variety. E non è diversa l’opinione di IndieWire:

Aronofsky è un regista serio interessato a scoprire e mostrare i limiti dei propri personaggi e Black Swan non fa eccezione
.

Entrambi seguiti a ruota dai pochi altri critici statunitensi presenti al festival. 
Diversa chiaramente la storia su Twitter, il buzz degli appassionati è tutto compatto a favore del film, una ricerca “black swan #venezia67” riporta clamorose urla di gioia. Purtroppo al momento non è stata definita un’uscita italiana e se ci si basa su quanto accaduto in passato (The Wrestler uscì a febbraio) probabilmente occorrerà aspettare.

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