“La mutazione antropologica della sinistra”

Il Riformista attacca lo svuotamento ideale della sinistra italiana, attaccata all'inno di Mameli con La Russa come alleato

Stefano Cappellini segnala oggi sul Riformista – giornale che ha cara la distinzione dalla sinistra giustizialista e antiberlusconiana tout court – la notevole associazione di intenti a cui la sinistra italiana sembra essere dedicata in queste settimane: la difesa delle pubbliche gogne giornalistiche (“che lede la parità tra accusa e difesa”) e dell’inno nazionale. È successo qualcosa di grosso, secondo Cappellini.

Una mutazione c’è stata, questo è fuori discussione. La questione giudiziaria è il terreno sul quale ha raggiunto il punto di non ritorno. Se Antonio Di Pietro può imporre tattica e strategia al Pd ed ereditare senza troppi sforzi la gran parte dei consensi rosso-verdi, se l’acclamato Luigi De Magistris può sostenere senza nemmeno pagare il pegno del ridicolo che i suoi punti di riferimento politici sono Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante, se Marco Travaglio è di gran lunga l’opinionista più credibile agli occhi delle nuove generazioni anti-governative, se Gioacchino Genchi – un esperto di dossieraggio che fino a qualche anno fa sarebbe stato classificato a sinistra alla voce «avanzo di Sifar» – può diventare una star della pubblicistica progressista, evidentemente il danno ormai è fatto.

Secondo Cappellini il momento in cui la maggioranza della sinistra italiana è diventata un’altra cosa è facilmente individuabile.

Il peccato originale è naturalmente Tangentopoli, la stagione nella quale milioni di italiani condannati all’opposizione da lustri si sono convinti che ciò che per decenni era stato precluso per la via delle urne fosse diventato possibile grazie alle Procure. Ma le ragioni di questa disfatta politico-culturale sono molte. Ed è lecito parlare di mutazione genetica della sinistra, perché essa ha dei veri e propri tratti darwiniani, essendo figlia soprattutto dei tentativi di garantirsi la sopravvivenza in una natura – leggi: società – sempre più ostile.
La politica non può cambiare le cose? Al diavolo la politica, meglio godersi guitti, genchi e saltimbanchi. Il nemico politico appare imbattibile? Che almeno qualche pm gli regali un po’ di notti insonni. Non si riesce ad arginare la Lega? Si accende un cero a Mameli.

Ecco perché ai travaglisti è inutile obiettare che la pubblicazione indiscriminata di brogliacci telefonici è un’oscenità che lede profondamente, ben più che la privacy, la parità tra accusa e difesa. Né serve ricordare i numerosi casi di indagati che si sono visti pubblicare decine di conversazioni e che sono poi stati assolti. Perché ai neogiustizialisti non interessa la verità processuale. Lo svolgimento regolare del processo penale – che in teoria dovrebbe essere un caposaldo di una ideologia legalitaria – è in realtà un optional. A loro interessa solo la sanzione immediata, lo sputtanamento mediatico. Preferiscono che un pm più o meno ribaldo incida addosso al potente o al vip di turno una zeta di zorro, anziché che un tribunale li condanni a regola d’arte

E così, nella mutazione genetica, conclude Cappellini, la sinistra si trova a chiedere il rispetto solo di simboli o di regole vuote, senza più preoccuparsi di riempirle.

In questa specie di evoluzionismo al rovescio, finisce che il dna della “nuova” sinistra si compone della micidiale unione tra i retaggi peggiori di ieri e di oggi. La sinistra d’antan credeva fortemente nel cambiamento sociale e, al tempo stesso, nutriva una sfiducia di fondo nelle istituzioni, magistratura compresa, considerate un baluardo della conservazione, quando non della reazione. La versione attuale continua a nutrire la medesima sfiducia, tanto da considerare velleitario e formalista il rispetto delle regole dello Stato di diritto, e in più ha anche perso qualsiasi afflato ideale. Come è evidente guardandosi attorno. Come forse si sarà reso conto persino qualche indignato, nel realizzare almeno per un attimo che il naturale portavoce della sua indignazione per l’inno vilipeso è Ignazio La Russa.