Il turismo senza i turisti

Viaggiatori e turisti sono la stessa cosa? Secondo il Wall Street Journal non c'è poi così tanta differenza

Il treno viaggiava sui binari sgangherati verso un paesino sperduto nell’America del Sud. Lo scrittore Paul Theroux osservava dal finestrino il paesaggio quando fu avvicinato da un francese che gli chiese: «Scusi, lei è un turista?». Sorpreso dalla domanda, Theroux osservò il suo interlocutore e rispose con un gelido «Come lei». Il francese rispose allora di non essere un turista, ma un viaggiatore. La distinzione, a volte un poco forzata e strumentale, dura da tempo e cerca di mettere su due piani diversi chi si reca da qualche parte con una guida turistica sottobraccio e chi viaggia in un paese per conoscerlo.

Viaggiatori e turisti non sono poi così diversi, spiega Eric Felten sul Wall Street Journal, eppure chi ha l’occasione di visitare nuovi posti poco sopporta la presenza di altri turisti, specie se sono connazionali. Trovare qualcuno della propria nazionalità a migliaia di chilometri di distanza dal proprio paese dà a volte la sensazione di aver compiuto un viaggio meno speciale del previsto. Qualcuno se incontra un connazionale in viaggio, magari in coda per entrare in un museo, fa finta di nulla, evita di parlare e intanto origlia le conversazioni dell’ignaro compatriota. Altri preferiscono venire allo scoperto, indagare sulle tappe turistiche previste dal proprio interlocutore e scoprirne la provenienza.

Mark Twain, racconta Felten, non gradiva particolarmente la presenza di altri statunitensi durante i propri viaggi.

Nel corso del suo famoso viaggio in Terra Santa, Mark Twain non perse mai l’occasione di ridicolizzare i propri compagni di viaggio. A cavallo in un deserto del Medio Oriente, Twain sghignazzava: «Fanno una figura stravagante», i loro cappelli avvolti negli scialli contro il calore, «indossano tutti occhiali spessi con lenti verdi, con vetrini laterali; tengono tutti in mano degli ombrelli bianchi, foderati di verde, sopra le loro teste. […] Quando qualcuno osserva questa immagine oltraggiosa, alla luce del giorno, è affascinato dal fatto che gli dei non tirino fuori i loro fulmini e li cancellino dalla faccia della Terra!»

Il problema per chi è alla ricerca di mete poco battute dai turisti è che la facilità degli spostamenti e la possibilità di rimanere facilmente in contatto, con cellulari e Internet, hanno reso buona parte del pianeta una potenziale destinazione turistica. A Venezia ti aspetti di trovare orde di turisti di ogni specie e genere pronti a sperimentare l’ebbrezza delle gondole e a scrostare a colpi di flash gli affreschi dei palazzi antichi, ma chi sceglie posti meno battuti come Machu Picchu o le cime himalayane spera di trovare un minore affollamento e qualcosa di più caratteristico. Niente da fare.

L’ascesa al monte Everest, per esempio, viene sperimentata ogni anno da centinaia di persone, e così l’avventuroso viaggio verso l’antica città degli Inca è sempre più trafficato. Questa condizione è stata causata in parte dalle nuove tecnologie, ma le stesse potrebbero ora offrire la soluzione. Basta usarle al contrario.

I social network come Twitter e Facebook consentono di condividere con amici e contatti la propria posizione geografica. Questa opzione viene usata da milioni di persone ogni giorno, desiderose di far sapere dove si trovano, se sono in viaggio verso una particolare meta e interessate a fare nuovi incontri. Sfruttando il segnale GPS (quello dei navigatori satellitari), telefonini e alcune macchine fotografiche inseriscono automaticamente nei dati delle fotografie il luogo in cui è stato effettuato lo scatto. Chi poi condivide le foto sui social network o nelle gallerie fotografiche online come Flickr può dunque far sapere dove si è recato e che cosa ha visitato. Utilizzando queste informazioni, chi è alla ricerca di un viaggio in solitudine o lontano dai turisti può pianificare le proprie mete evitando i posti più inflazionati, allontanando così l’effetto Mark Twain.