Cosa vuol dire “deus ex machina”

Cosa significa esattamente il modo di dire che più di tutti viene usato male

Il fraintendimento sul modo di dire “deus ex machina” continua a mietere vittime, e oggi a cascarci è stata Marinella Venegoni sulla Stampa. In merito all’ultimo disco di Franco Battiato, la giornalista ha scritto che

La manipolazione d’autore – dal titolo «ConFusione-9 canzoni disidratate da Franco Battiato» – ha in copertina una tigre dipinta dall’artista siciliano, deus ex machina di un progetto senza precedenti negli orticelli autarchici del nostro mondo musicale, che ci restituisce come lucidato un mondo noto.

Marinella Venegoni usa erroneamente “deus ex machina” per definire Battiato come l’artefice assoluto del disco, il burattinaio che ne comanda ogni parte. Ma il modo di dire, che trae origine dal teatro greco, significa tutt’altro. Cioè: l’arrivo improvviso di una forza superiore, finora estranea, in grado di cambiare lo stato delle cose e risolvere la storia.

In rete se ne era un po’ parlato in occasione degli errori illustri, tra gli altri, di Gad Lerner (che ha definito il presidente di Adelphi deus ex machina di Adelphi), Paolo Di Stefano (Maria de Filippi deus ex machina di Amici), e Piergiorgio Odifreddi (il presidente dell’UAAR deus ex machina dell’UAAR). A suo tempo, sul suo blog Matteo Bordone scrisse una breve spiegazione dell’argomento, decisamente più vivace della pagina di Wikipedia che potete comunque trovare qui.

Nella tragedia greca succedeva una cosa buffa, alla fine. Che poi era il gran finale, ma era l’antica Grecia e non si sparavano o baciavano tra fratelli a quei trempi. Nel senso che si baciavano e scannavano dall’inizio: cose incredibili, neonati accoltellati, incesti, roba che le famiglie e le stirpi si intricavano di odio e amore in maniera irrisolvibile.
“Come la chiude?”, “Ma qui dura una settimana?”, “Adesso muoiono tutti?” si chiedeva preoccupato il pubblico greco coll’accappatoio bianco sugli spalti, all’X-factor tragico della festa di Dioniso. E come la chiudeva Euripide?
Spesso sul finale arrivava uno che faceva dio, in cima a uno scalone di legno tipo gru, e diceva io sono Apollo, tu accoltellato muori pure dissanguato, tu già morto risuscita, tu chiedi scusa, tu vattene da Tebe, tu invece stabilisciti nel Peloponneso, fai quello che vuoi, apriti un pub, ma guai se te ne vai dal Peloponneso, l’ho detto io che sono Apollo. Gli spettatori borbottavano un po’ per questa scorciatoia da sceneggiatori di Lost, ma ormai se lo aspettavano: era la loro idea fichi-olive-e-democrazia del colpo di scena finale.
Per questo, quando qualcuno o qualcosa risolve una vicenda reale o fittizia, inaspettatamente e d’improvviso, si dice “deus ex machina”, perché ricorda il dio che parla dalla gru delle tragedie greche e mette a posto le cose.
Dire deus ex machina come si trattasse di un capo che comanda tutto lui (con tanto di profumo di macchinazioni) è semplicemente sbagliato. Per quello si dice ras, boss, gran Mogol, capoccia, re, regina di Cuori, quello che vi pare, ma non deus ex machina.

P.S. Quindi no, nemmeno Orson Welles nel Terzo uomo è un Deus ex machina: ma al Post c’è stato un blackout mentre mettevamo online questo pezzo e abbiamo dovuto arrangiarci in fretta.