Resta lo sfregio a Napolitano

La testimonianza di Giorgio Napolitano s’è svolta nell’unico modo prevedibile: con grande disponibilità da parte del capo dello stato, il riconoscimento e la tutela che gli è dovuta da parte di giudici, procuratori e avvocati, e un sostanziale nulla di nuovo sul piano della ricostruzione processuale.

Quest’ultimo punto verrà fuori con evidenza solo quando i verbali saranno resi pubblici. Il prima possibile, secondo la sollecitazione del Quirinale. Comunque prima, si spera, di essere passati al Fatto quotidiano.
Già dai commenti del procuratore Teresi s’è capito che i teorici della trattativa tra mafia e Stato canteranno in ogni caso vittoria. A quanto pare, gli basta che ieri Napolitano abbia espresso valutazioni di mero buon senso sulla strategia stragista del ’92-’93. In realtà non c’era bisogno di essere ai vertici delle istituzioni, per cogliere da subito il carattere ricattatorio della svolta di Riina: era un’analisi che si poteva leggere su qualsiasi giornale. Viceversa, l’accusa (e sicuramente i suoi supporters a mezzo stampa) ricaveranno dall’ovvia constatazione fatta da Napolitano la conferma che intorno alle stragi si intrecciarono relazioni occulte tra cosche e vertici dello Stato. Del resto i teoremi si reggono così, collegando fra loro dati oggettivi in modo che risultino frammenti di un disegno in realtà costruito totalmente ex post.

Per questo alla vigilia s’è parlato di sfregio tentato al capo dello stato: perché qualsiasi cosa egli avesse detto ieri – e ancor di più se si fosse rifiutato di rispondere a qualche domanda, come pure era legittimato a fare – si sarebbe trovato il modo di gettare un’ombra sul suo ruolo remoto e recente. Cioè esattamente ciò che accadrà da oggi nel circuito politico-giornalistico dei nemici dichiarati del presidente: è già partita la canea dei meno alfabetizzati tra i deputati grillini.
Che Napolitano abbia accettato di rispondere a ogni domanda, e che sia ora il più interessato a dare pubblicità alla deposizione, vale come conferma della statura della persona, del suo rispetto per la legge e della distanza da ogni sospetto.
Non che ce ne fosse bisogno. Lo sfregio però rimane, anche se solo tentato. Serve a ricordarci che è ancora attivo il partito trasversale di chi non vuole far uscire l’Italia dallo stato d’emergenza e dal clima di delegittimazione di tutto ciò che tiene insieme il paese.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.