Pdl e Lega non vogliono salvarsi

Lo spettacolo leghista di Venezia è stato terribile, la fotografia impietosa di una crisi umana prima che politica. Poca gente sulla riva, e quella poca perplessa o arrabbiata. Tanta nomenklatura verde sul palco, atterrita dalla guerra intestina in corso. Un gruppo dirigente che si dichiara solidale mentre si tira coltellate, colpendo tra l’altro ciò che la Lega ha di migliore: i propri sindaci, la famosa e mitizzata “presenza sul territorio”.

Infine, un capo menomato in ogni senso, che ha lasciato il pubblico sgomento rivolgendogli un discorso senza capo né coda, con astrusi attacchi ai Savoia e patetici riferimenti famigliari: molto più della secessione, evocata a casaccio e senza pathos, a Bossi ormai preme raccontare i propri incidenti domestici, difendere la moglie, mettere al sicuro il figlio con una legge che ne permetta l’elezione alla camera prima dei 25 anni d’età.

Eppure, parole di Calderoli che Maroni non ha voluto smentire, i leghisti si sentono nulla senza Bossi e non vedono futuro senza di lui. Così come Alfano, che a pochi chilometri di distanza ha impegnato l’intero Pdl all’oltranzismo e all’immobilismo: noi non esistiamo senza Berlusconi, non abbiamo altro destino fuori dal patto con la Lega, non cerchiamo e non desideriamo nuovi equilibri. E – proprio come nel Carroccio – guai a chi sgarra.

Tutto troppo esagerato, troppo anacronistico per essere vero. Verrebbe da sospettare che la difesa così estrema dei due capi sia non solo un atto dovuto, ma il preliminare di un passaggio di consegne parallelo, con i due vecchi leader che dopo esser stati omaggiati affidano la staffetta a un ticket più giovane e presentabile.
Se facessero davvero una simile operazione, forse Pdl e Lega potrebbero riprendere iniziativa e vantaggio sugli avversari. Niente paura: Berlusconi non concepisce spartizioni o deleghe del potere, tanto meno sotto la gragnuola dei colpi giudiziari.

Una resistenza sorda, la sua, che fa male al paese e frustra le spallate degli oppositori, ma intanto trasforma in un incubo il sogno di un nuovo centrodestra.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.