Cosa fa l’Europa per combattere il terrorismo

L’Unione Europea attuerà nei prossimi mesi delle nuove politiche antiterrorismo che prevedono una più stretta cooperazione tra gli Stati membri. Una concreta politica comune su questi temi esiste almeno dal 2001: rappresenta allo stesso tempo una risorsa e una consuetudine pratica. Gli Stati membri rispondono agli attacchi terroristici che avvengono sul proprio territorio, di solito, attuando nell’immediato delle misure urgenti, mentre in un secondo momento si rivolgono alle istituzioni europee per agire in modo coordinato e ottenere un supporto finanziario o logistico. Va ricordato che la lotta al terrorismo, a livello normativo, è una competenza degli Stati nazionali.

Cosa è stato fatto fino a oggi
Nel 2010 la Commissione Europea ha adottato l’Internal Security Strategy, un programma strategico di sostegno alla sicurezza interna della durata di quattro anni. Le istituzioni europee hanno elaborato in questo tempo un quadro giuridico di base e un sistema per la cooperazione tra le istituzioni stesse e i singoli Stati: esempi pratici sono rappresentati dallo Schengen Information System (SIS) e dal Civil Protection Mechanism. Inoltre, sono stati stanziati dei fondi per la lotta al terrorismo diretti a una serie di soggetti riconosciuti che operano in prima linea nelle zone ad alto rischio. Tra questi ci sono il Radicalisation Awareness Network (una rete di esperti nel prevenire e affrontare la radicalizzazione del terrorismo) e l’Airpol (la rete delle forze di polizia aeroportuali).

Durante questi quattro anni sono stati creati dei gruppi di personale specializzato nella sicurezza chimica, biologica, radiologica, nucleare ed esperti di esplosivi. Sono stati poi attuati degli strumenti giuridici, come per esempio il mandato di arresto europeo (introdotto nel 2004), grazie al quale è stato possibile arrestare quei sospettati sfuggiti all’autorità giudiziaria del paese dove hanno commesso il reato: si tratta di una procedura di richiesta da parte di uno Stato membro con lo scopo di procedere all’arresto di una persona che in quel momento si trova in un altro Stato membro, perché venga consegnata al primo di questi due, al fine di esercitare l’azione penale o l’esecuzione di una pena. È stato grazie al mandato di arresto europeo, per esempio, che l’uomo responsabile della sparatoria al Museo Ebraico di Bruxelles del 24 maggio 2014 è stato consegnato dai giudici francesi a quelli belgi in meno di sei settimane.

Giudici e forze dell’ordine usano, per coordinarsi, anche l’European Criminal Records Information System (ECRIS): si tratta di un sistema attivo dal 2012 che consente un accesso incrociato alle banche dati dei casellari giudiziari, con lo scopo di assicurare che le informazioni sulle condanne possano essere scambiate in modo rapido tra gli Stati membri. Questo strumento è stato utilizzato dai poliziotti francesi per risalire alle informazioni sui due fratelli responsabili della strage nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Esistono poi accordi con paesi terzi, come il Mutual Legal Assistance e il EU-US Mutual Legal Assistance con gli Stati Uniti.

Per cercare di prevenire atti terroristici le istituzioni europee hanno stretto accordi anche con Paesi terzi, per cercare di bloccare i finanziamenti delle principali organizzazioni: dal mese di agosto 2010 è in vigore un accordo con gli Stati Uniti per l’accesso e lo scambio di dati che riguardano le transazioni finanziarie. Si tratta di un meccanismo complesso perché allo stesso tempo deve tutelare i diritti sulla privacy dei cittadini: è compito dell’Europol – l’agenzia di polizia europea – verificare che le richieste degli Stati Uniti siano conformi alle condizioni previste dall’accordo. Due osservatori esterni, nominati dalla Commissione Europea, hanno il compito di controllare che i dati richiesti sui sospettati rimandino a un’organizzazione terroristica. Dalla sua entrata in vigore, nel 2010, le procedure investigative autorizzate sono state circa 7.300. Nell’ultimo anno c’è stato un aumento delle richieste, dovuto soprattutto al fenomeno dei “travelling fighters”, cioè quei cittadini europei sospettati di essere collegati con lo Stato Islamico e diretti verso la Siria, l’Iraq e la Libia: nel 2014 sono state fatte 35 richieste, che hanno generato 937 procedure di intelligence distribuite in undici Stati membri.

Le misure allo studio per i prossimi anni
I contenuti dell’Agenda Europea sulla Sicurezza 2015-2020 a cui si sta lavorando riprendono i punti presentati dalla Commissione Europea guidata da Jean-Claude Juncker, al fine di sostituire il programma del 2010. Le operazioni antiterrorismo esistenti e quelle in programma saranno finanziate fino al 2020 con 3,8 miliardi di euro. Tra le priorità stabilite dalla Commissione c’è il rafforzamento dello Schengen Information System (SIS): si tratta di un sistema utilizzato dalle autorità di polizia che permette di condividere e consultare (all’interno dei 28 Paesi UE) le segnalazioni fatte da un singolo Stato su persone ricercate all’interno dell’area.

La Commissione ha annunciato di voler aumentare il numero delle cosiddette “categorie di allarme”, cioè il numero di casi in cui il sistema si attiva contemporaneamente per tutti. Inoltre, la Commissione ha annunciato l’intenzione di collegare questa banca dati a quella dell’Interpol (l’organizzazione internazionale della polizia criminale) riferita ai documenti di viaggio. Il cambiamento più consistente a medio termine sarà però l’integrazione all’interno dell’ECRIS di un sistema di raccolta di informazioni sui cittadini extra UE: la Commissione vuole aggiungere nella banca dati le informazioni su cittadini di paesi terzi condannati per atti illeciti all’interno dell’Unione Europea. Sarà inoltre rafforzata l’azione del Joint Investigation Teams (JITs), cioè le squadre investigative comuni che riuniscono gli agenti di polizia degli Stati membri che indagano sui casi transfrontalieri. Queste squadre collaborano già oggi con le forze di polizia dei Paesi terzi.

I dati personali dei passeggeri
Uno dei temi più discussi all’interno delle istituzioni europee sul tema terrorismo è quello che riguarda l’European Passenger Name Record (PNR): si tratta di una banca dati sui passeggeri dei voli europei, di cui si è iniziato a discutere nel 2011. Le informazioni dei viaggiatori sono fornite dai passeggeri stessi nel momento in cui effettuano la prenotazione di un volo e quando fanno il check-in prima di partire. La tecnica è la stessa che viene utilizzata dalle compagnie aeree a fini pubblicitari. Questi dati contengono diverse informazioni potenzialmente utili per i controlli dell’antiterrorismo: i dati del viaggio, l’itinerario, i contatti personali, l’agenzia di viaggi in cui si è comprato il biglietto, metodo di pagamento, posto assegnato e informazioni sui bagagli. I dati dovrebbero essere memorizzati dalle compagnie aeree e trasmessi a una banca dati europea.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 2007 la Commissione Europea aveva stabilito la possibilità di raccogliere, memorizzare e analizzare questo tipo di dati, ma non c’è mai stata un’attuazione della norma, che è rimasta sospesa. Una prima proposta era stata presentata nel 2011 dalla Commissione Barroso, ma fu respinta dal Parlamento Europeo il 24 aprile 2013. La nuova proposta della Commissione Juncker prevede di consentire alle compagnie aeree di trasferire i dati dei passeggeri che viaggiano su voli internazionali all’unità specifica dello Stato membro in cui il volo in questione parte o arriva. Passato un mese dal volo, le autorità locali avranno l’obbligo di “depersonalizzare” i dati dei passeggeri e dovranno cancellarli definitivamente dopo cinque anni. Inoltre, i dati trasferibili dovranno essere filtrati: le compagnie aeree non potranno trasferire alle autorità degli Stati membri informazioni sui passeggeri inerenti alla razza, all’origine etnica, alle opinioni politiche, al credo religioso.

La proposta della Commissione prevede che le autorità locali non potranno accedere direttamente alle banche dati delle compagnie aeree, ma dovranno prima farne richiesta. Ogni Stato membro dovrebbe poi creare un’unità specifica per la gestione dei dati e dovranno essere create delle autorità indipendenti per controllare il loro lavoro. La Commissione ha previsto anche la possibilità, per i passeggeri, di accedere ai dati, modificarli e cancellarli. Una serie di norme regolano poi il tema del diritto al risarcimento e le modalità per la protezione dei dati in fase di trasferimento. Al momento la Commissione Europea sta discutendo queste proposte con il Parlamento Europeo.

Francesco Marinelli

Giornalista, qui per parlare di Europa, su Twitter è @frankmarinelli