Rom caput mundi

Un rom che abbia la cittadinanza italiana non si può accompagnarlo alla frontiera: perché è un italiano, non un rom. Neppure se compie un reato si può espellerlo: e meno male, perché saremmo al nazismo.

Quella che vorrebbe fare il ministro Maroni, in futuro, è un’altra cosa: espellere dall’Italia i rom e i sinti comunitari – ma privi della cittadinanza italiana – che non rispondano ai requisiti che la stessa Comunità europea prevede affinché un paese li ospiti: cioè reddito minimo, non essere a carico dello Stato e avere una dimora riconoscibile, più altre cosette.

Sono giusti questi requisiti? In teoria no, perché un tizio, in un mondo perfetto, dovrebbe poter vivere come vuole, dove vuole e campando d’aria, se crede. Di recente è stato scoperto che il mondo non è perfetto, i requisiti perciò sono in vigore. Peccato che contrastino con un’altra regola sempre della Ue: i cittadini comunitari, dice, hanno libertà di movimento e di insediamento. Perciò si litiga.

I vescovi della Cei, però, è meglio che stiano buoni: ieri, a Radio Vaticana, hanno detto che «il governo non può decidere autonomamente quando c’è una politica europea che stabilisce dei diritti». Vada a rivedersi, la Cei, gli orientamenti della politica europea anche in tema di biotestamento, patti di convivenza tra gay e altre cosucce che le sono care. Che facciamo, applichiamo?

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera