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  • Martedì 7 febbraio 2017

A che punto è lo stadio della Roma

Dopo anni di progetti e trattative – adesso tra imprenditori americani e una giunta grillina – tra meno di un mese si decide: le cose da sapere, dall'inizio

Negli ultimi giorni si è riparlato della progettata costruzione di un nuovo stadio per la squadra di calcio della Roma – tema che va avanti ormai da cinque anni – per via di due episodi: uno più istituzionale, e cioè il nuovo parere negativo (ma non definitivo) del comune di Roma al progetto, che sarebbe realizzato interamente con capitali privati; uno meno, e cioè una dichiarazione inaspettata ed esplicita dell’allenatore della squadra, Luciano Spalletti. Durante un collegamento di Sky Sport dal centro sportivo della Roma, tre giorni dopo il parere negativo del comune, Spalletti si è presentato alle spalle dell’inviato di Sky e ha detto, scandendo le parole: «A Roma va fatto lo stadio. Fàmo ‘sto stadio. E non solo a Roma: lo stadio, gli stadi, vanno fatti per tutte le squadre in tutta Italia».

La frustrazione di Spalletti è la stessa di tifosi e dirigenti della squadra: il progetto è partito ufficialmente nel 2012 ma non si è ancora sbloccato, nel senso che non ha ancora ricevuto l’approvazione definitiva delle autorità civili. Il progetto e il plastico dello stadio erano stati presentati all’inizio del 2014 in accordo con la giunta comunale di allora – guidata da Ignazio Marino del Partito Democratico – ma le cose si sono notevolmente complicate: le analisi geotecniche sul luogo di costruzione – Tor di Valle, nella periferia sud della città – e altri passaggi burocratici del progetto sono durati per molti mesi. Nel frattempo si è insediata la giunta del Movimento 5 Stelle guidata da Virginia Raggi, molto più scettica sul progetto rispetto a quella di Marino.

La situazione di oggi è piuttosto paradossale: il comune ha dato un’approvazione iniziale al progetto mesi fa, quando era guidato da Ignazio Marino, ma di recente ha dato un secondo parere negativo sulla base di motivi tecnici, citando perplessità sulla sicurezza stradale e idrica dell’impianto. Allo stesso tempo diversi consiglieri comunali di maggioranza e soprattutto l’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini si oppongono al progetto anche sulla base delle opere “di contorno” allo stadio, e cioè grattacieli, parchi, un ponte e stazioni della metropolitana, che ritengono superflue e passibili di speculazioni edilizie. Molte di queste opere però erano state richieste dalla giunta Marino per ampliare l’interesse pubblico dell’opera, rendere più facile raggiungerla e riqualificare il quartiere dove sarà costruita (attualmente piuttosto degradato). In mezzo ci sono la Roma e i finanziatori del progetto, che hanno già speso decine di milioni ma ancora non hanno ricevuto garanzie definitive.

Dall’inizio
L’Italia ha un grosso problema con gli stadi di calcio: oggi l’età media di un impianto italiano è circa sessantadue anni, e molti di quelli utilizzati da squadre di Serie A e B sono fatiscenti o troppo vecchi per essere ristrutturati davvero, e quasi sempre di proprietà dei comuni (che non hanno grande interesse a spenderci dei soldi e renderli paragonabili ai più moderni ed efficienti impianti del resto d’Europa).

Quasi ovunque nei paesi più sviluppati dal punto di vista calcistico, la soluzione è stata costruirne di nuovi, più piccoli e privati, in mano alle società sportive, che così possono ottenere dei ricavi sul lungo periodo anziché continuare ad affittare un posto sempre meno adatto alle esigenze di squadre e tifosi. In Italia però ristrutturare completamente il proprio stadio o costruirne uno nuovo è molto complicato, sia per colpa delle lunghissime trafile burocratiche sia per la scarsa disponibilità dei proprietari a investire molti soldi per un beneficio a lungo termine (la maggior parte delle squadre italiane professionistiche sono in mano a piccoli o medi imprenditori, con scarsa disponibilità economica rispetto ai conglomerati internazionali sempre più diffusi). Lo stadio della Roma è uno dei rarissimi progetti di questo tipo in Italia, che sono normali altrove.

Lo stadio è uno degli obiettivi principali degli imprenditori statunitensi che hanno comprato la Roma nel 2011, e che da allora hanno espresso la maggioranza del consiglio di amministrazione e il presidente della società (che dall’agosto 2012 è l’imprenditore italo-americano James Pallotta). La Roma ha ufficialmente avviato il progetto del nuovo stadio proprio nell’anno in cui Pallotta diventò presidente. Nel 2012 Cushman & Wakefield, una delle società di consulenza immobiliare più grandi al mondo, impiegò diversi mesi per scegliere il luogo più adatto fra oltre 80: fu scelto Tor di Valle soprattutto per la sua relativa vicinanza al centro e all’aeroporto di Fiumicino, e per il fatto che oggi è una zona poco edificata e piuttosto degradata. Il progetto dello stadio è stato realizzato nel 2013 e coordinato da Dan Meis, un architetto americano noto soprattutto per il suoi lavori sugli impianti sportivi: ha progettato per esempio lo Staples Center di Los Angeles, il Safeco Field di Seattle e il Paul Brown Stadium di Cincinnati, l’unico stadio di football americano ad aver mai vinto un premio dell’AIA, l’American Institute of Architects. A dicembre del 2013 il progetto è stato presentato sia alla giunta Marino sia al pubblico. Nel settembre 2014 la giunta Marino ha approvato la delibera che contiene la “dichiarazione di interessi”, il primo passo ufficiale per avviare il progetto.

Il progetto del nuovo stadio concordato con la giunta Marino prevede principalmente uno stadio da 52.500 posti – espandibile a 60mila – tutti coperti e di facile accesso, oltre a diverse opere nei dintorni: un distretto di negozi e ristoranti appena fuori dallo stadio, un parco pubblico e tre grattacieli progettati da Daniel Libeskind, uno degli architetti più famosi al mondo, scelto fra le altre cose per riprogettare il World Trade Center di New York dopo gli attentati del 2001. Le altre opere, secondo la Roma, servono per aumentare l’efficacia economica del progetto, per riqualificare il quartiere e potenziare la viabilità nella zona. Il progetto infatti prevede la realizzazione del ponte pedonale, il prolungamento della metropolitana B – che attualmente si ferma poco più a nord, nel quartiere Europa – e altri provvedimenti utili per migliorare la circolazione della zona. Nei progetti della società, l’area dello stadio dovrebbe diventare un nuovo centro “sociale” di Roma aperto non solo nei giorni delle partite, grazie alla presenza di negozi e ristoranti e del parco pubblico.

L’opera sarà interamente finanziata con capitali privati: al comune non costeranno nulla nemmeno le opere pubbliche. I soldi saranno messi a disposizione dalla Roma con alcuni partner, fra cui un gruppo immobiliare americano e una grossa società organizzatrice di eventi; la costruzione sarà coordinata dall’imprenditore e costruttore italiano Luca Parnasi, seguendo un modello – investitori stranieri, coordinamento italiano – simile a quello utilizzato a Milano per le nuove di costruzioni di Porta Nuova. In tutto, secondo le cifre fornite dalla Roma, saranno spesi per il progetto più di due miliardi di euro, di cui 400 milioni per realizzare lo stadio. Secondo la timeline tuttora presente sul sito del progetto, i lavori dovrebbero cominciare all’inizio del 2017 e terminare nel giro di due anni, con l’apertura ufficiale prevista per l’agosto 2019.

I problemi
A parte qualche fisiologico rallentamento durante la presentazione del progetto, i problemi sono iniziati fondamentalmente con l’arrivo della giunta Raggi e la storica diffidenza del Movimento 5 Stelle verso le cosiddette “grandi opere”. La giunta ha tenuto fin qui un atteggiamento ambiguo: sia la sindaca che i suoi più stretti collaboratori dicono di essere favorevoli alla costruzione dello stadio, ma l’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini è da sempre uno dei più duri oppositori del progetto, che ha definito «uno scempio» impegnandosi a «usare ogni mezzo consentito» per impedirne la costruzione. Qualche giorno fa Berdini ha detto che col recente parere negativo del comune i dirigenti della Roma «l’hanno presa sui denti».

Berdini sostiene da mesi che il progetto è troppo ampio e che la condizione per cui si possa realizzare è il taglio di parte delle strutture, comprese le infrastrutture pubbliche: in una recente intervista al Corriere della Sera, Berdini sostiene che lo stadio e le strutture commerciali possano essere comprese su una superficie di 63mila metri quadrati, e che si possa tagliare su tutto il resto (in origine il progetto prevedeva di intervenire su un’area di 287mila metri quadrati). Berdini aveva anche spiegato che intendeva cambiare la delibera comunale che conteneva la dichiarazione di pubblico interesse, perché la riteneva troppo vincolante: ma aveva spiegato che “loro” – cioè Raggi e i suoi collaboratori – erano interessati solo a piccole modifiche. Secondo un articolo molto dettagliato uscito a ottobre sul Tempo –  e un altro uscito a metà gennaio sul Corriere della Sera – il comune e la Roma stanno negoziando per ridimensionare il progetto, nell’interesse di entrambi: il comune perché vorrebbe evitare di subire una causa nel caso il progetto fallisse; la Roma per realizzare lo stadio più in fretta possibile, dopo anni di discussioni.

Secondo il Corriere della Sera, il taglio al progetto originale sarà di circa 200mila metri quadrati: il Tempo, scendendo più nel dettaglio, spiega che dovrebbero essere eliminate fra le altre cose due dei tre grattacieli progettati da Libeskind, il prolungamento della metro B e un ponte pedonale e ciclabile nei pressi della stazione ferroviaria Magliana, che doveva essere l’ingresso principale all’area.

Poi c’è la questione dei pareri non vincolanti chiesti in questi mesi dalla regione Lazio, a cui spetta un ulteriore esame della pratica: nel novembre del 2016 la Soprintendenza a Archeologia, Belle Arti e Paesaggio si è detta perplessa sulla documentazione fornita dalla società, ritenuta non sufficiente, sulla scelta del sito nella zona di Tor di Valle, in cui sarebbero presenti dei resti archeologici, e sull’altezza delle tre torri progettate da Libeskind per l’impatto sulla skyline della città. All’inizio di febbraio hanno dato parere negativo al progetto – occhio: a quello originale contenuto nella delibera della giunta Marino – sia il comune sia la città metropolitana, citando problemi di sicurezza, viabilità e di natura del suolo (questi ultimi però sono stati esclusi da esperti indipendenti).

A che punto siamo oggi
Ricapitolando: al momento i problemi principali sembrano essere la trattativa fra il comune e la Roma per il ridimensionamento del progetto iniziale – che però la Roma sembra già avere accettato – e i pareri tecnici negativi di comune e città metropolitana. Questi ultimi non sono un ostacolo insormontabile: lo hanno sottolineato sia il vicesindaco della città metropolitana Fabio Fucci sia l’assessore allo Sport del comune di Roma Daniele Frongia, ritenuto molto vicino a Raggi. Lo stesso Frongia domenica 5 febbraio ha spiegato che nonostante il parere negativo «non c’è stata una bocciatura [del progetto], possiamo tranquillizzare i tifosi».

La pratica al momento è tecnicamente in mano alla regione, e più precisamente alla Conferenza dei servizi: cioè un tavolo di lavoro messo in piedi dalla regione ma al quale sono presenti anche il comune, la città metropolitana, il governo e la prefettura. La Conferenza si è riunita per la prima volta il 3 novembre 2016 e si è impegnata a fornire un parere entro inizio febbraio: il comune però ha chiesto e ottenuto una proroga di 30 giorni – che scadrà il 3 marzo – probabilmente per chiudere definitivamente la trattativa con la Roma sulle modifiche al progetto. Martedì 7 febbraio si terrà un nuovo incontro fra la dirigenza della Roma e il comune. Se tutto andrà come previsto, nelle prossime settimane la Roma dovrebbe presentare delle modifiche al progetto iniziale, e il comune dare parere positivo: a quel punto sarà il turno della Conferenza dei servizi e poi di una mera ratifica del consiglio regionale. I lavori potrebbero cominciare ufficialmente una volta che il comune avrà recepito l’approvazione finale e approvato un piano per modificare il Piano di Governo del Territorio (PGT).