Appendino e Raggi sono una vittoria delle donne che ce la fanno da sole?

La presidente delle Pari Opportunità di Torino contesta questa narrazione sulle due candidate del M5S

Chiara Appendino e Virginia Raggi (ANSA)
Chiara Appendino e Virginia Raggi (ANSA)

Dopo il primo turno delle elezioni amministrative di domenica 5 giugno si è parlato molto dei risultati che ha ottenuto il M5S con Virginia Raggi a Roma e con Chiara Appendino a Torino, anche perché li hanno ottenuti due donne. Diversi giornali hanno pubblicato in prima pagina le foto delle due candidate sostenendo che l’esito del voto è stato in qualche modo anche una vittoria delle donne. E sono stati scritti anche alcuni articoli sul fatto che Roma si è scoperta “femminista” o sul fatto che, come ha scritto Concita De Gregorio su Repubblica, a un certo punto qualcosa è cambiato e due ragazze normali di trent’anni hanno «preso i voti». Aggiunge poi De Gregorio: «Alle donne capita sovente di sentirsi dire: da chi prendi ordini? A volte, succede, da nessuno. Per certo so invece che nel vecchio sistema di potere — quello che ha fallito in passato e che è ancora tutto qui sotto sempre più improbabili nuove insegne, con una nuova protervia e una nuova camicia — tutti prendono ordini dai capi e se sgarrano sono fuori. Fuori lista, fuori rosa».

Su Repubblica di oggi Laura Onofri, presidente uscente della commissione Pari Opportunità di Torino, del PD, risponde a Concita De Gregorio mettendo in dubbio che Chiara Appendino e Virginia Raggi siano realmente libere dal potere maschile e che siano dunque indipendenti dai vertici del partito: anche di quel partito, il Movimento 5 Stelle, dove come nei partiti tradizionali a decidere restano prevalentemente degli uomini. Onofri, entrando nel merito della questione solo nelle ultime righe, usa però un argomento molto maschile: cioè che sia Raggi che Appendino siano arrivate dove sono perché provengono da un certo tipo di famiglia e perché hanno avuto la strada spianata dal Movimento (cosa alla quale si potrebbe replicare che, se così fosse, avrebbe avuto il merito di non discriminarle in base al genere):

«Caro direttore, leggendo l’articolo di Concita De Gregorio di ieri su “la Repubblica” le due candidate sindache appaiono come ragazze “normali”, come tante ragazze del nostro Paese costrette ai salti mortali per sopravvivere e spesso ad andare all’estero per trovare un lavoro, che “normalmente” e senza alcun aiuto o privilegio sono arrivate alla candidatura a sindaca di Roma e Torino. Ma di cosa stiamo parlando? Di due ragazze che hanno avuto la strada spianata per entrare nel mondo professionale o dell’imprenditoria. Virginia Raggi ha iniziato a 25 anni il praticantato nello studio Previti, a 29 anni è stata presidente del cda di Hgr di Roma. Chiara Appendino, invece, nasce nel mondo della buona borghesia imprenditoriale torinese, famiglia che non ha certo problemi a supportare una figlia alla Bocconi, dove riesce a fare una tesi di marketing sulle strategie di entrata nel mercato cinese, materiale che ha avuto dal padre (braccio destro del presidente di Confindustria Piemonte) e responsabile dello sviluppo internazionale di Prima Industrie in Cina. Per poi, dopo uno stage alla Juventus (anche questa “ordinaria amministrazione” che ogni ragazza a Torino può ottenere…), entrare nell’azienda di famiglia dove, da eletta in Comune, non ha problemi ad avere “permessi retribuiti”, rimborsati dal Comune (circa 23 mila euro l’anno). Anche dal punto di vista politico le due ragazze la strada l’hanno avuta spianata dai vertici del movimento e sono arrivate a candidarsi in città importanti come Roma e Torino senza passare sotto le forche caudine del voto on line (per l’Appendino era successo anche per la candidatura in consiglio comunale del 2011), disattendendo una regola del Movimento: candidature ratificate dal voto della base.

Non c’è nulla di male a provenire da famiglie agiate e borghesi, un po’ più grave – e parlo ora di Chiara Appendino – saltare a piè pari regole che valgono per tutti gli altri nel M5S. Decisamente più grave la disattenzione ai problemi e ai diritti delle donne, su cui in 5 anni di Consiglio abbiamo più volte tentato di coinvolgerla. Infine, siamo sicure che queste donne siano così libere dal potere maschile, che siano così indipendenti da quel “direttorio” formato prevelentemente da maschi che decide chi deve o non deve rimanere nel movimento? Il caso di Patrizia Bedori, esclusa dalla candidatura a sindaca di Milano perché “brutta, grassa e casalinga”, è sintomatico. E che le donne del M5S, tra queste Chiara Appendino, non abbiano sentito l’esigenza e avuto la sensibilità di dare solidarietà, è inquietante».