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  • Giovedì 3 dicembre 2015

Gli atleti israeliani di Monaco 1972 furono torturati, prima di essere uccisi

Lo hanno raccontato le vedove di due atleti, dicendo di avere visto documenti e fotografie riservati nel 1992

Uno dei terroristi palestinesi durante l'attacco a Monaco. (AP Photo/Kurt Strumpf, File)
Uno dei terroristi palestinesi durante l'attacco a Monaco. (AP Photo/Kurt Strumpf, File)

Il primo dicembre il New York Times ha raccontato nuovi dettagli su quello che successe nel settembre del 1972 alle Olimpiadi di Monaco, in Germania, dove alcuni terroristi palestinesi dell’organizzazione Settembre Nero – affiliata all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) – uccisero 11 atleti della squadra olimpica israeliana. L’attacco iniziò il 5 settembre alle 4 del mattino: due atleti israeliani che tentarono di fermare gli attentatori furono uccisi subito, mentre gli altri morirono alla base aerea tedesca di Furstenfeldbruk durante un tentativo fallito di liberazione degli ostaggi compiuto dalle forze di sicurezza tedesche. Di quello che era successo si continuò a parlare negli anni successivi, anche perché il Mossad, il servizio segreto per l’estero di Israele, avviò l’operazione “Ira di Dio” con l’obiettivo di uccidere tutti i responsabili dell’attacco di Monaco (questa storia è raccontata anche da Munich, film del 2005 di Steven Spielberg).

Le vedove di due atleti israeliani hanno raccontato al New York Times che nel 1992, vent’anni dopo l’attentato, un funzionario tedesco mostrò loro dei documenti che raccontavano nei dettagli cosa era successo durante la presa degli ostaggi. Una delle due donne è Ilana Romano, vedova dell’atleta israeliano specializzato nel sollevamento pesi Yossef Romano, uno dei due che furono uccisi subito. I documenti dicono che Romano fu castrato e violentato, e lasciato morire di fronte ai suoi connazionali. Anche gli altri ostaggi furono torturati (per esempio furono spezzate loro le ossa). Le due donne hanno deciso di rivelare le nuove informazioni solo ora per riportare l’attenzione dell’opinione pubblica su quello che successe. Il New York Times ha scritto di aver visto le foto che mostrano le torture, ma di non averle volute pubblicare perché troppo impressionanti.

Prima d’aprire la cartelletta con le foto, l’avvocato Pinchas Zeltzer le chiese se volesse un dottore di fianco. Ilana Romano rispose di no. Aspettava da vent’anni quelle immagini di suo marito. Anche se non se le aspettava così: «Fu dolorosissimo. Fino a quel giorno, avevo avuto di Yossef il ricordo d’un giovane uomo con un grande sorriso e le fossette. In quel momento, si cancellò tutto lo Yossi che conoscevo». Accadde nel 1992, lo rivela ora il New York Times: il governo tedesco ha declassificato gli scatti terrificanti, «non pubblicabili», di ciò che i palestinesi di Settembre Nero fecero agli undici atleti israeliani presi in ostaggio alle Olimpiadi di Monaco 1972. I peggiori riguardano proprio Yossi Romano, il sollevatore di pesi che aveva provato a ribellarsi. Violentato, evirato, lasciato agonizzare davanti ai compagni di squadra. Ai quali peraltro, prima di morire, non furono risparmiate le torture: carbonizzati nel blitz per liberarli, avevano tutti le ossa spezzate.

È tutta un’altra storia: i fedayn dell’Olp hanno sempre sostenuto di non aver voluto uccidere, «gli ostaggi morirono quando la polizia ci attaccò». Le foto delle sevizie confermano invece quel che andava dicendo la vedova Romano: «Erano venuti alle Olimpiadi per colpire duro. Per uccidere». 69 anni, padre pistoiese e madre libica, Ilana s’è rifatta una vita ma non s’è mai fatta una ragione di quei morti. Di come morirono. Nelle sue azioni legali contro le autorità tedesche, quando esigeva trasparenza, s’era regolarmente sentita rispondere che non esistevano documenti riservati.

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