Il problema di Umberto Eco con internet

Il capitolo del libro di Luca Sofri sui giudizi sempre poco clementi di Eco nei confronti della Rete che inganna il mondo, oggi che se ne riparla

Umberto Eco al conferimento della laurea honoris causa presso l'Università di Torino (Belen Sivori/LaPresse)
Umberto Eco al conferimento della laurea honoris causa presso l'Università di Torino (Belen Sivori/LaPresse)

In occasione del ricevimento di una laurea honoris causa in Comunicazione presso l’Università degli Studi di Torino, Umberto Eco ha tenuto una lezione magistrale in cui ha parlato anche di Internet e di social network, tornando sul giudizio molto critico nei confronti della rete già espresso in passato: “È il luogo in cui nascono le più assurde teorie complottiste: come per esempio le accuse sui gesuiti sospettati di aver affondato il Titanic e ucciso Kennedy, e la costruzione di coincidenze numeriche sull’attentato delle Torri Gemelle”. Ai ricorrenti e poco clementi giudizi di Eco su Internet è dedicato un capitolo del nuovo libro Notizie che non lo erano del peraltro direttore del Post Luca Sofri.

Dall’avvento di internet, e ancora di più da quello dei social network, la quantità di informazioni che riceviamo è cresciuta straordinariamente, e dentro questa quantità è cresciuta anche quella delle informazioni e notizie false. Proporzionalmente? O in misura maggiore?

Questa è la domanda a cui sarebbe interessante dare una risposta: la quota percentuale di informazioni sbagliate e false che registriamo oggi, rispetto al totale delle cose che impariamo, è maggiore o uguale a quella di vent’anni fa? Insomma, è vero come pensano alcuni commentatori del cambiamento digitale che internet ci rende più ignoranti, o più disinformati?

Probabilmente non è possibile misurare una risposta. Però si possono chiarire alcune cose che rendono spesso ingannevoli le risposte che circolano. La prima è che il grosso delle informazioni che riceviamo oggi da internet non si contrappone a quelle che riceviamo dalle fonti di informazione tradizionali: i principali diffusori di notizie e informazioni online sono gli stessi che lo erano offline (soprattutto in Italia, dove lo spazio ottenuto dai nuovi progetti di news è ancora limitato), ovvero i siti dei giornali di carta, delle reti televisive, delle agenzie di stampa, dei telegiornali. La parte maggiore delle notizie che vengono amplificate e diffuse dai social network è messa in rete o in circolazione dai siti di news più letti, quelli appena citati: il sito del «Corriere della Sera», o di «Repubblica», o dell’Ansa, o di TgCom, eccetera.

Quindi non esiste la distinzione giornali/internet, e quando diciamo che su internet circolano molte notizie false, quelle sono in buona parte notizie false immesse o amplificate in rete dai siti dei giornali e che i giornali di carta già immettevano e immettono nell’informazione offerta ai loro lettori.

E questa è la seconda cosa da chiarire: così come sono ancora responsabili del grosso della nostra informazione, i gruppi editoriali tradizionali – cartacei o televisivi, passati anche al digitale – sono responsabili del grosso della nostra informazione sbagliata. Sia che la producano e sia che la raccolgano da fonti inaffidabili senza fare le necessarie verifiche e le necessarie selezioni.

È invece molto insistita – comprensibilmente – nelle redazioni giornalistiche italiane una narrazione per cui la professionalità dei giornalisti farebbe da argine alle notizie inesatte diffuse online da dilettanti e bugiardi. Dico comprensibilmente perché questa versione è l’alibi che diversi giornalisti usano per autoassolversi dall’accusa di pubblicare e diffondere una quota esagerata di notizie false (come quella, parzialissima, raccolta in questo libro): «È colpa di internet», «È l’inaffidabilità del web», eccetera.

Dare la colpa alla fonte delle notizie false che un giornalista professionista ha scelto di usare, pubblicare, avvalorare è infantile e assurdo: nessun giornalista farebbe una conversazione con sconosciuti o conoscenti al bar, e poi trascriverebbe i loro discorsi come veri e fondati. Nessuno scriverebbe in un articolo che Babbo Natale esiste per averlo sentito dire a casa ai bambini, salvo poi dare la colpa ai bambini. Nessuno scriverebbe in un articolo che il Duce è vivo per averlo letto scritto su un muro, salvo poi dare la colpa al muro. Non solo il muro è irresponsabile, ma il giornalista è doppiamente responsabile: ha superato un esame professionale e viene pagato proprio per distinguersi da uno che scrive sui muri che il Duce è vivo. Se no, la differenza qual è?

E se io che faccio il giornalista scrivo sul mio giornale una balla che qualche cialtrone ha scritto su internet, la differenza tra il giornalista e il cialtrone qual è? A cosa è servito quell’esame, e a cosa serve lo stipendio che ricevo?

Tra i più vivaci propalatori della teoria che internet inganni il mondo, malgrado le resistenze di un manipolo di accurati professionisti, c’è lo scrittore e grande studioso della comunicazione Umberto Eco. Nel suo caso non credo ci siano cattive fedi autoindulgenti, ma probabilmente solo una sensazione di estraneità a un mezzo molto nuovo rispetto a quelli su cui ha costruito le sue grandi competenze. Ma le sue analisi sono interessanti proprio per la vistosità delle loro contraddizioni.

In una sua rubrica sull’«Espresso», ad aprile del 2011, Eco elencò una serie di notizie false in cui si era imbattuto e che lo riguardavano, concludendo che «ormai Internet è divenuto territorio anarchico dove si può dire di tutto senza poter essere smentiti». Formulazione un po’ perentoria e inesatta (a volte internet sembra il posto dove tutto viene smentito), ma soprattutto completamente inadeguata agli esempi di notizie false fatti dallo stesso Eco. Che erano comparsi rispettivamente su:

• lo «Herald Tribune» (un quotidiano di carta), ripreso dal «Fatto» (un quotidiano di carta), che aveva pubblicato una falsa lettera di Eco senza controllare;
• l’Adnkronos (un’agenzia di stampa) che aveva ripreso una dichiarazione su Eco che Eco spiegava essere infondata;
• un libro (di carta) che aveva pubblicato una prefazione di Eco che Eco sosteneva di non avere scritto;
• un’altra notizia, sbagliata, di Adnkronos (che è 
sempre un’agenzia di stampa).

Eco citava quindi quattro casi di falsità pubblicati tutti su mezzi di informazione tradizionale su supporti prima di tutto non digitali: di conseguenza la considerazione di Eco su internet risultava del tutto inesatta e infondata (e, inesatta e infondata, era pubblicata sull’«Espresso», giornale di carta). Probabilmente per desiderio di far corrispondere la realtà a un proprio pregiudizio, a sua volta figlio di una formazione culturale ormai troppo radicata per essere più duttile nei confronti della realtà e della verità che la stanno mettendo in crisi (giornalisti e commentatori navigati non erano assolutamente 
preparati alla messa in discussione spesso aggressiva e violenta – spesso ignorante e presuntuosa – da parte dei lettori online). Ma qualunque sia stato il riflesso mentale che lo ha ingannato, la frase corretta con cui avrebbe dovuto concludere sarebbe stata invece questa: «I media tradizionali sono divenuti territorio anarchico dove si può dire di tutto senza poter essere smentiti. Per fortuna che internet spesso permette di conoscere e smentire cose che prima non era possibile».

Tre anni dopo, alla fine del 2014, «Repubblica» pubblicò in prima pagina un interessante articolo («La Terra non è mai stata piatta») in cui Umberto Eco spiegava come fosse un mito che prima di Cristoforo Colombo si ritenesse che la Terra fosse piatta: la sfericità della Terra era nota a molti studiosi dell’era antica e poi nel Medioevo, spiegava Eco. Ma una serie di equivoci e interpretazioni sbagliate aveva costruito nei secoli un’idea diversa, e proprio per smentire questa antichissima errata opinione Eco aveva scritto quell’articolo.
Che l’errore fosse radicato nella Storia e si fosse alimentato per secoli non solo lo spiegava quell’articolo di Eco, ma anche la stessa insistenza di Eco nel cercare di raccontare la verità. Un articolo di Eco del tutto simile era infatti stato pubblicato su «Repubblica» nel 2009 («La leggenda della Terra piatta») e uno, ancora di Eco, sull’«Espresso» nel 2005 («La solita storia della Terra piatta»).

Ma nella versione del 2014 appariva infine un nuovo responsabile di un errore storico vecchio di secoli:
Malgrado molte leggende che ancora circolano su internet, tutti gli studiosi del medioevo sapevano che la Terra fosse una sfera.

Era colpa di internet se per secoli avevamo creduto il contrario.