Un ragazzo ha smontato l’austerity?

Quasi: uno studio che dimostrava i rischi di un debito pubblico elevato è stato criticato da uno studente americano, ma la questione è più complessa di come è stata raccontata

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

Poche settimane fa un studente americano di economia di 28 anni, Thomas Herndon, aiutato da due professori, Michael Ash e Robert Pollin, ha scoperto numerosi errori in una ricerca, Growth in the time of debt (“la crescita ai tempi del debito”), un documento utilizzato da molti media e politici per giustificare, nei discorsi e nei titoli dei giornali, severe misure di riduzione del debito.

Il documento era stato pubblicato nel 2010 da due economisti di Harvard, Carmen Reinhart e Ken Rogoff. La conclusione alla quale erano giunti era chiara e facilmente riassumibile: in media, i paesi che oltrepassano una soglia di debito pubblico superiore al 90% del PIL hanno in seguito una crescita economica negativa. Herndon ha trovato diversi errori nella ricerca: il più pubblicizzato di tutti era un semplice errore di Excel, ma che in sostanza non cambiava i risultati della ricerca. Un altro era un errore nel metodo di aggregazione dei dati: più complesso, ma anche più sostanzioso (e secondo alcuni non era nemmeno un errore).

I tre errori
Il primo degli errori scoperti da Herndon è allo stesso tempo il più incredibile, il più pubblicizzato e il meno importante. Si tratta di un pasticcio con le celle di una tabella Excel, il programma di Microsoft per la gestione di fogli elettronici. Per ottenere la media della crescita dei paesi con alto debito, Reinhart e Rogoff hanno evidenziato soltanto 15 nazioni in una tabella che ne comprendeva venti. Questo ha causato un errore nei risultati: dei cinque paesi mancanti, però, soltanto il Belgio era un paese con alto debito e la sua crescita economica nel periodo preso in esame non era molto differente da quella degli altri paesi. Il risultato finale, quindi, è stato poco intaccato dall’errore (che è comunque molto imbarazzante, come hanno segnalato quasi tutti i commentatori).

Il secondo errore era appena più determinante. I dati nei primi anni del dopoguerra di Australia, Canada e Nuova Zelanda non vennero inclusi nella ricerca di Reinhart e Rogoff perché, hanno spiegato, nel 2010 non erano ancora disponibili. Nonostante il loro alto debito, i tre paesi ebbero una rapida crescita economica in quegli anni. Includere questi risultati nella loro tabella avrebbe indebolito i risultati della ricerca.

Il terzo errore è molto più complicato dei due precedenti, ma anche molto più sostanziale e, secondo alcuni, non è nemmeno un errore. Riguarda il modo con il quale sono stati aggregati i dati. Per ottenere la loro media di crescita economica nei paesi con alto debito, Reinhart e Rogoff hanno preso la crescita media di ogni paese con un debito molto alto nel periodo di riferimento (1946-2009) e da lì hanno calcolato la media della crescita dei paesi in quella situazione.

I critici sostengono che un approccio più sensato sarebbe stato: prendere la crescita media in ogni anno e per i vari livelli di debito nei vari paesi e solo con quei dati calcolare la media: ad esempio prendendo la crescita media anno per anno del periodo (mettiamo di 10 anni) in cui un paese ha avuto un debito alto e fare la media di questi 10 dati con la crescita media di un paese nell’unico anno in cui ha avuto un debito elevato. In questo modo si sarebbe tenuto conto del fatto che alcuni paesi hanno avuto episodi di debito elevato per poco tempo. Ad esempio, in questo secondo metodo di calcolo il paese con 10 anni di debito elevato avrebbe pesato nel calcolo della media 10 volte tanto del paese con un solo anno di debito elevato.

Secondo Reinhart e Rogoff e i loro difensori nessuno dei due metodi è più giusto dell’altro. I critici sostengono che, anche se può essere giustificato utilizzare un sistema piuttosto che l’altro, Reinhart e Rogoff non hanno motivato la loro scelta, il che lascia supporre che abbiano preferito il metodo che confermava di più la loro teoria.

L’impatto della ricerca
È difficile comprendere quanto sia stato elevato l’impatto della ricerca sulle scelte di politica degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Molti politici, in particolare negli Stati Uniti, hanno usato questa ricerca per motivare le loro critiche all’espansione del bilancio federale e all’aumento del debito negli Stati Uniti. La ricerca è stata usata anche nel Regno Unito e, almeno una volta, dal Commissario Europeo Olli Rehn (lo scorso febbraio, per la precisione).

C’è però una sostanziale differenza tra la situazione degli Stati Uniti e quella dell’Europa. La preoccupazione dei politici repubblicani, negli Stati Uniti – oltre a una congenita avversione per la spesa pubblica – è che un alto debito possa danneggiare sul lungo periodo la crescita del paese: per questo il debito non va aumentato e per questo la ricerca di Reinhart e Rogoff è stata molto utilizzata.

In Europa la ricerca ha fornito un’argomentazione in più a chi sosteneva la teoria della “austerità espansiva”, per la quale il rigore nei conti pubblici avrebbe portato – se non proprio di per sé, quasi – a un aumento della crescita. Reinhart e Rogoff hanno pubblicato la loro ricerca nel gennaio 2010, prima dei vari interventi europei di aiuto e le misure di austerity più o meno imposte a Grecia, Irlanda e Portogallo.

Sembra però difficile sostenere che la ricerca abbia causato da sola la scelta di applicare severe politiche di austerità, piuttosto che fornire semplicemente un argomento in più a chi le sosteneva. Altre ricerche, all’epoca, sostenevano che i tagli dell’austerity diminuivano il PIL in termini quasi trascurabili. Proprio quelle stime sono state riviste parecchio al rialzo, di recente, dal Fondo Monetario Internazionale: le misure di austerità incidono quindi molto di più di quanto si era stimato in precedenza.

Il problema, inoltre, era che le scelte europee non erano legate soltanto a preoccupazioni sulla crescita a lungo termine, ma anche alla sostenibilità del debito pubblico a breve termine. In altre parole: in Europa non si è discusso solo sul fatto che un alto debito pubblico possa danneggiare la crescita economica, ma anche sul fatto che, con un alto debito pubblico in periodi di crisi e incertezza, gli Stati non siano più in grado di ripagare gli interessi oppure di finanziarsi sul mercato dei titoli di stato. Senza contare che molte misure di austerity avevano un carattere mirato a combattere il moral hazard – l’incentivo che uno stato riceverebbe a tenere i suoi conti “in disordine” se ogni volta che si trova nei guai viene aiutato senza chiedergli nulla in cambio.

Quindi con un alto debito si cresce come negli altri paesi? 
Non esattamente. Tenendo conto di tutti gli errori segnalati da Herndon e i suoi professori, il risultato della ricerca non cambia. Ma se si utilizza la diversa metodologia nel modo in cui aggregare i dati viene fuori che la crescita economica media dei paesi con un debito pubblico superiore al 90% del PIL passa da un -0,1% a 2,2%: una differenza parecchio sostanziale. Ma come potete vedere nel grafico di sotto, anche con questa correzione i paesi ad alto debito crescono in media meno dei paesi con un debito più basso.

C’è un sostanziale accordo di tutti gli economisti sul fatto che ad un alto debito pubblico corrisponda una crescita economica minore. Il punto è se questa correlazione implica o no una causalità. In altre parole: i paesi crescono meno perché hanno un alto debito oppure hanno un alto debito perché crescono meno? Quello che le critiche di Herndon e dei suoi professori dimostrano inequivocabilmente è che la soglia del 90% di debito è una sciocchezza: buona più per i titoli dei giornali e per i discorsi dei politici che per seri studi economici.