Vent’anni in via Poma

Simonetta Cesaroni è stata uccisa il 7 agosto 1990: ora è arrivata la prima sentenza per quel delitto. Raniero Busco, che allora era il fidanzato della ragazza, è stato condannato a 24 anni. Colpevole. Per la giuria le prove presentate dall’accusa sono state sufficienti. A contare sono state quelle perizie sulle tracce biologiche trovate sul corpo di Simonetta che vent’anni fa non si potevano analizzare. Il dna trovato sul reggiseno di Simonetta sarebbe compatibile con quello di Busco; anche sulla porta dell’ufficio di via Poma sarebbe stato trovato dna parzialmente compatibile. Parzialmente. Il fatto è che nei documenti presentati dall’accusa quello di Busco sembra essere l’unico ad avere corrispondenza su 33.000 codici genetici analizzati dai Ris di Parma. Poi c’è il morso lasciato dall’assassino sul seno di Simonetta: secondo le perizie corrisponde all’arcata dentale di Busco.

Chi ha assistito a tutto il processo dice che la strategia difensiva è stata debolissima, e che l’accusa al contrario ha dimostrato una “forza tecnica” soverchiante. La giuria ha impiegato tre ore a decidere. Possono sembrare poche tre ore per una storia lunga vent’anni, per un vicenda difficile da seguire, con accusati, arrestati, scagionati (Pietrino Vanacore e Federico Valle). Con uno dei protagonisti (Vanacore) morto suicida. Tre ore per decidere. Speriamo che sia stato davvero oltre ogni ragionevole dubbio.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.