L’allucinazione del Senato

Gli avversari delle riforme si sono risentiti, ma il punto è esattamente quello scandito con insolita durezza da Maria Elena Boschi ieri a palazzo Madama: la tesi della torsione autoritaria, dell’attentato alle libertà costituzionali, è una allucinazione. Nel senso tecnico del termine: una proiezione irreale che cerca di far arrivare ai cittadini un’immagine distorta di quanto accade.

Con la trasformazione di composizione e ruolo del senato, l’Italia si limita ad abbandonare uno schema che esisteva soltanto in questo paese. Per chiudere col bicameralismo perfetto, dopo quasi settant’anni, piccole correzioni non avrebbero avuto senso né esito.  Il testo di partenza del governo anche per questo era abbastanza estremo. Settimane di lavoro serrato lo hanno riequilibrato. Molte obiezioni sono state accolte. Il tema più delicato, quello delle nuove garanzie da assicurare tra i vari organi e poteri in vista anche della riforma elettorale, è stato affrontato: fin qui in modo soddisfacente, ma in questo campo non si fa mai abbastanza..

Il risultato che arriva al voto dell’aula può essere più o meno condiviso. Certo è mille volte più serio di molti buffoneschi emendamenti congegnati dagli oppositori: dall’introduzione della Duma russa all’inno nazionale diverso per ogni regione, pare che i proponenti non si rendano conto di quanto aiutino con queste poco spiritose perdite di tempo la tesi di un senato assemblea pletorica, inutile, da superare al più presto. Non sarebbe strano se Renzi approfittasse di questi mezzucci ostruzionistici per forzare le resistenze, magari anche quelle più serie e argomentate. Chi tiene all’immagine del senato, a partire dal suo presidente, dovrà all’opposto darsi da fare per un dibattito vero, serio, concluso però nei tempi previsti con il voto tanto atteso.

Già, perché poi c’è la pubblica opinione, di fronte alla quale questa vicenda si svolge.

Si citano sondaggi su italiani improvvisamente affezionati al senato elettivo. Si lanciano campagne di stampa e raccolte di firme. Cinquestelle vorrebbe si tenesse adesso, subito, un referendum di indirizzo.

Strano rispetto della Costituzione, da parte di chi ne piange lo stravolgimento.

Nelle procedure di revisione previste, che si stanno scrupolosamente rispettando, il ruolo del popolo sovrano in caso di riforme costituzionali è fissato con precisione. Il problema è che, essendo state respinte come obbrobriose le modifiche all’articolo 138 immaginate a inizio legislatura, il rerefendum confermativo (quello sul quale nel 2006 cadde la riforma berlusconiana) potrà tenersi solo se in parlamento non si raggiungeranno i due terzi di sì.

Visto che siamo nella stagione dei sospetti, anche noi ne abbiamo uno: che mettere l’arma di un vero referendum nelle mani di Renzi non convenga in realtà a nessuno dei suoi avversari. Gli undici milioni di voti presi alle Europee, che il Pd ha interpretato come il mandato a proseguire nelle riforme, per gli altri sono una inquietante forza da non risvegliare, più reale di qualsiasi sondaggio.

Di qui la tenace convergenza di Berlusconi. E di qui la fantasia di mobilitazioni anti-autoritarie e improbabili consultazioni preventive. Un’opposizione troppo esagerata per essere vera, più simile a una messa in scena politica.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.