Ora nel Pd sono tutti alla pari

I quindici nomi proposti da Guglielmo Epifani come componenti della nuova segreteria del Pd rendono l’idea di una stagione che si chiude: quella del patto di sindacato (fra quattro-cinque pesi massimi del partito) che sosteneva la gestione di Bersani, con un gruppo dirigente giovane quanto l’attuale ma espressione di una precisa maggioranza interna.
Coerentemente con la genesi e la ratio della sua elezione a segretario, Epifani non dà forma ad alcuna maggioranza. E così tutto il Pd si ritrova oggi distribuito fra la segreteria e la commissione preparatoria del congresso.

Una fase si chiude lasciando due zone d’ombra non illuminate. La prima, enorme, riguarda le cause della sconfitta elettorale del Pd, che rimane tale anche se recentemente Bersani è tornato a negarla: Epifani giustamente consegna il tema al confronto congressuale.
La seconda zona d’ombra riguarda la famigerata vicenda dei 101, ferita ancora aperta. Sicuramente è vero, come dice Civati, che alcuni dei 101 sono nel nuovo gruppo dirigente, com’erano nel vecchio. Col tempo però bisognerà abituarsi a considerare quell’evento conservando la massima severità, ma come un letale passaggio politico più che come un marchio d’infamia che del resto non può essere apposto su nessuno.
Il messaggio di Epifani è che da adesso in poi nel Pd si torna a stare tutti alla pari.
Che cosa significhi il rimescolamento s’è capito subito, ieri, quando un disegno di legge per il sistema semipresidenziale alla francese è stato presentato da deputati che ai tempi di Bersani erano dislocati in aree molto diverse.

A maggior ragione si pone la questione del ruolo di Matteo Renzi. In questi giorni sta facendo una campagna per i ballottaggi da leader di fatto. Ogni giorno si muove sui temi nazionali confrontandosi direttamente con Berlusconi o col governo. Non ha più motivi per considerarsi o muoversi come un esterno rispetto al gruppo dirigente nazionale.
Notizie, indiscrezioni e ipotesi sulla sua intenzione di dare veste formale alla leadership sostanziale sono contradditorie e inattendibili: il personaggio è di quelli che decidono in solitudine e in una notte.
Di sicuro c’è solo l’auspicio di Enrico Letta affinché «l’amico» compia questo passo auto-responsabilizzante. E una valutazione: la finestra di scalabilità del Pd che s’è aperta con Epifani non rimarrà spalancata a lungo.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.