Scambio di colpi sulla testa del Pd

Nichi Vendola sta bassino nei sondaggi, deve battere la concorrenza di Ingroia, così va a finire che manda i ricchi al diavolo senza troppi complimenti. Neanche Mario Monti va fortissimo, forse ha fatto confusione tra elettorato potenziale ed elettorato reale, allora per rimediare si lascia andare a promesse poco sobrie di riduzioni fiscali, e a scaricabarili ancora meno sobri sulle riforme incompiute dell’ultimo anno.
Che volete farci, è la campagna elettorale. Da sempre, il momento meno attendibile della politica. Proprio nell’atto supremo di rivolgersi al popolo sovrano, nel momento catartico che tutti evocano come un sacramento democratico, la qualità del messaggio per i cittadini scade in maniera imbarazzante. L’importante è non oltrepassare la soglia che delimita la normale esagerazione elettorale e il vero e proprio danno politico. Quando si dicono o si fanno cose passibili di pregiudicare passaggi futuri.

Per il Pd, che vede passarsi sulla testa lo scambio di cannonate fra Monti e Vendola, la preoccupazione è che l’agitarsi di queste minoranze smaniose non determini spaccature tali da rendere inagibile il terreno dell’inevitabile ricomposizione del dopo (inevitabile a prescindere dai numeri parlamentari, che pure saranno importantissimi, perché Bersani l’ha giustamente dichiarata tale non volendo restare da solo con Sel ad affrontare la crisi italiana).

Almeno da questo punto di vista Monti e Vendola proprio pari non sono.
Soprattutto per il fantasioso immaginario della sinistra radicale, quando hai dato a uno del massone che causa dolore al popolo, è difficile poi tornare indietro. Mentre dare a Vendola “solo” del conservatore, come ha fatto Monti, volendo ha una sua nobiltà: dalla Costituzione allo Statuto dei lavoratori, entrambi nel formato inciso nel marmo, sono molte le cose che Vendola, e mica solo lui, vogliono conservare. Mentre altri, e mica solo Monti, vorrebbero aggiustarle un po’.

Quando Bersani entrerà nella campagna elettorale vera e propria avrà gioco facile nell’evidenziare come solo il Pd abbia la forza, l’equilibrio e il giusto mix tra voglia di cambiare e voglia di conservare (più la prima che la seconda, si spera) necessari a rendere un partito candidato credibile per il governo.
Un po’ meno facile per Bersani, ma altrettanto necessario, sarà bonificare il terreno dalle mine di chi, stando indietro nei sondaggi, ha convenienza a trasformare la campagna elettorale in un campo di battaglia: se perfino Monti cede alle tentazioni della propaganda, immaginiamo che cosa dobbiamo aspettarsi da Pdl e Lega, da Grillo, dai rivoluzionari arancioni già in debito di ossigeno.
Volendo, anche questa è una scommessa: vedere se dalla transizione italiana si riesce a uscire conquistando per una volta i voti da persone serie.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.