Due lezioni dai democratici americani

Sono solo due le lezioni americane davvero utilizzabili dai democratici in Italia.

La prima riguarda la portentosa macchina elettorale messa a punto dagli uomini di Obama: neanche sfiorati dal novecentesco disprezzo per la potenza della comunicazione politica che viene esibito qui, hanno prodotto un mix altamente professionale e politicamente orientato di strumenti tecnologici, marketing territoriale, analisi dei dati, consegnato alla dedizione militante di centinaia di migliaia di volontari. Nei famigerati (per qualcuno) anni Novanta, la sinistra italiana aveva cominciato ad apprendere qualcosa sul tema. Oggi usa i dati su iscritti, elettori e simpatizzanti solo come arma contundente al proprio interno. È triste e inutile.

La seconda lezione è la granitica unità di un partito una volta leggendario per la propria litigiosità. La selezione di Obama è avvenuta una volta, sulla base di uno scontro interno dichiarato, aperto, perfettamente leggibile. Da allora, il virus della divisione e della confusione s’è trasferito a destra. Ha infettato il Gop esponendolo ai raid di chiunque, Tea Party o fondamentalisti cristiani. Ha consegnato agli elettori una proposta incoerente, contraddittoria fra candidato e piattaforma politica. Ha condotto a una sconfitta dalla quale non si sa se e come i repubblicani potranno mai riaversi.

Teniamolo a mente nei giorni infuocati di avvicinamento alle primarie del centrosinistra. Il centrodestra è nel marasma comico messo in scena ieri tra Berlusconi, Alfano e gli altri naufraghi del Pdl. Il movimento di Grillo è una setta arcigna che nel proclamare il massimo di democrazia si chiude perfino ai nuovi simpatizzanti. Pd e centrosinistra hanno in campo cinque ottimi candidati e, fra loro, due sicuri vincenti sia pure su mercati elettorali diversi.

Dalla selezione ne scaturirà uno solo. Come uno solo, il Pd, è il partito al quale l’Italia può affidarsi in questa stagione per darsi un perno, un minimo di stabilità. L’Italia però, pur senza potersi paragonare agli Usa, è molto varia, plurale, fino alla frammentazione. Allora anche quel candidato e quel partito per vincere dovranno saldare una coalizione non tanto di sigle quanto di cittadini: avranno bisogno di politica, tecnica, professionalità, passione volontaria, e di tutti i leader ora capaci di parlare al mercato elettorale più ampio possibile.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.