Di che cosa si lamenta il Pd

Il Pd è entrato nella partita della manovra Monti lamentandone la scarsa equità, ne esce con Bersani «stupefatto» per la debolezza del governo sulle liberalizzazioni. È una parabola interessante, che segnala due cose. La prima è che i democratici si considerano soddisfatti dell’esito finale su temi scottanti: pensioni, fisco, casa.

Attenzione, non diamo oggi per scontato ciò che l’altro ieri pareva impensabile. Certo, la crudele norma che bloccava l’indicizzazione delle pensioni minime è stata bloccata. Ma se solo due settimane fa aveste prospettato ai responsabili del Pd del settore i cambiamenti che Fornero ha portato a casa sulle pensioni d’anzianità, avreste ricevuto repliche indignate. Sulle pensioni non si poteva e non si doveva fare nulla. Oggi il Pd vota la riforma e se ne dice soddisfatto, tranne che sul punto dei cosiddetti lavoratori precoci.

È la conferma di un atteggiamento pragmatico che del resto Bersani aveva già quando al governo c’era Berlusconi. Un macigno è stato rimosso e il Pd ha dato una mano. Potrebbe rivendicare l’onore di una riforma che ha tanti oneri ma restituisce al sistema un minimo di equità inter-generazionale. Non lo farà per colpa di rigidità auto-imposte (che se fossero state seguite pedissequamente troverebbero oggi il Pd allineato alla Lega), ma è il risultato che conta.

Quanto alle liberalizzazioni, Bersani ha ragione a lamentarsi, in particolare con Monti che dovrebbe essere un campione del ramo. Anche qui però prendiamo la parte positiva. Un Pd affamato di liberalizzazioni non potrà che essere coerente quando (presto) arriveranno i nodi del nuovo welfare e del nuovo mercato del lavoro: metteteci tutta la concertazione che volete, la direzione di marcia non potrà che essere la medesima della riforma delle pensioni.
Il rammarico è che il rinvio dell’assemblea nazionale (giustificato e inevitabile) farà sì che il 20 gennaio anche su questi temi ci si troverà più a registrare, e forse correggere le novità, che a promuoverle. Pazienza. L’importante è che nella trincea della conservazione non ci si possa più tornare.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.