Che si dice al Quirinale

Palazzo Koch la mattina, intorno a Mario Draghi. I giardini del Quirinale al pomeriggio, intorno a Giorgio Napolitano.
L’establishment contempla, abbastanza attonito, la nuova Italia uscita dalle urne: nessuno se li aspettava così determinati, gli elettori, così univoci nel messaggio che lanciano alla politica. E allora bisogna mettersi al passo. Non è difficile per il Governatore, da sempre interprete di una democrazia economica liberale che capisce insieme il senso d’esclusione del Sud e il senso d’ingiustizia del Nord.
Ancor meno è difficile capire questa nuova Italia per il capo dello stato, che la percorre da anni circ o n d a t o da affetto e consenso crescenti.

Ma gli altri? È inutile, anzi sembra quasi ingeneroso, chiederlo ai ministri di Berlusconi. Al Quirinale lui evita la folla di invitati vip, quasi si occulta dietro Napolitano. Loro, ministri e uomini di partito, semplicemente non sanno, non hanno idea di come si proverà a uscirne, puoi al massimo distinguere fra un Tremonti più rilassato, un Alfano più teso, un Letta più ingessato del solito. La loro inconsapevolezza è lo specchio di una situazione senza vie d’uscita evidenti.
Tornano a essere ricercati e interpellati quelli del centrosinistra.
Neanche qui previsioni certe sull’immediato futuro, ma per fortuna una convinzione forte: non si può deludere la domanda di cambiamento, non si può far arenare l’ondata delle città nelle sabbie di una nuova estenuante trattativa su governi tecnici, transizioni, geometrie coalizionali.

Il più convinto di questo sembra Bersani, che certo sentirà la Lega sulla riforma elettorale (“riservatamente”) ma tiene ferma la barra della richiesta di elezioni anticipate, vuole muovere il Pd su temi più in sintonia con l’aria che tira (riduzione del numero dei parlamentari, fine del bicameralismo), vuole provare a replicare al Sud il successo del Nord e soprattutto non vuole impelagarsi in tatticismi. Si vedrà. D’Alema si pone il problema tipico («dare uno sbocco politico al voto», che può voler dire molte cose), Renzi gode della sua prima volta alla festa del Quirinale ma soprattutto del grande movimento sotto il cielo, della rivincita delle primarie, e anche lui prepara un’offensiva contro il parlamento pletorico.

In generale, i Palazzi annusano che il vento è girato. Vedono che tira verso il centrosinistra ma lo ritengono impreparato a prendere la corrente. Soprattutto, sono convinti che Berlusconi non mollerà. E quando il premier – certo non una bella cera – si accommiata da Napolitano, c’è un arrivederci a presto fra i due: nessuna illusione, non è per compiere il gesto per il quale hanno votato domenica gli italiani, da Milano a Cagliari a Napoli.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.