Trascinarsi altri due mesi

Non cade il governo. In compenso cadono due mistificazioni al focherello delle quali s’è scaldato il centrodestra negli ultimi mesi.
La prima: che fossero le opposizioni ad avere paura delle elezioni anticipate.
La seconda: che il federalismo, il bottino di legislatura di Umberto Bossi, potesse essere regalato al Nord con la forza, piegando le critiche e contando solamente sui numeri di un Pdl esangue e di una Lega tanto fumo e poca sostanza.
La tesi che il centrodestra cerca di far passare è che lo stop subìto dal federalismo municipale non conta nulla, che l’ostacolo verrà superato di slancio da una maggioranza che ancora esiste nell’aula di Montecitorio come dimostra il voto su Ruby. E che quindi la legislatura può andare avanti, contraddicendo tutti gli ultimatum pronunciati dai leghisti per mesi.

Provare a inchiodare Bossi alle sue stesse dichiarazioni è fatica inutile: l’uomo è campione di doppiezza, anche se ormai nel suo popolo la rabbia contro Roma ladrona comincia a colpire chi a Roma sa solo piegarsi alle logiche di Berlusconi. Ma ciò che conta davvero è che il voto di ieri avrà conseguenze serie nella maggioranza, se vogliamo ancora chiamarla così, e anche nell’opposizione.
L’opposizione ha retto a pressioni molto forti ed è rimasta unita su una questione sulla quale in passato era invece divisa (solo l’Udc è sempre stata pregiudizialmente ostile al federalismo). C’è un senso politico in questo: bruciati i vascelli alle spalle, al di là di due deputati in più o in meno, Pd e Terzo polo puntano diritti sulla caduta di Berlusconi e considerano aperta la strada verso le elezioni.
Sull’altro fronte è vero l’opposto. Nelle pieghe di questa vicenda s’è consumata una frattura dentro la Lega, s’è acuito il distacco di Tremonti, è uscita platealmente allo scoperto una paura di andare a votare che galvanizzerà gli avversari.
Fino a ieri un solo partito era dato vincente in ogni scenario. Dalla giornata di ieri la Lega esce ridimensionata e con un unico obiettivo: far votare in aula qualche altro pezzo di carta senza significato prima che, al massimo entro due mesi, questa legislatura fallimentare chiuda i battenti.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.