Promesse elettorali impraticabili di una certa bellezza

Flat tax, settimana corta, pensioni più alte, pensioni più presto, meno devianze, più devianze: se il dibattito politico italiano vi sembra lunare, è perché lo è per davvero. Ma se tutto quello che ci meritiamo sono soltanto delle promesse impraticabili, che siano almeno delle belle promesse.

Ve ne suggerisco alcune io:

1. Porteremo la fiducia negli altri al 70% in 5 anni. Un ingrediente essenziale per una società sana e dinamica è la fiducia nelle altre persone. Un metodo imperfetto ma utile per misurare la fiducia negli altri è chiedere “Pensi che in generale ci si possa fidare della maggior parte delle persone o pensi invece che bisogna stare molto attenti con gli altri?”

In Germania, il 42% degli intervistati risponde che in generale ci si può fidare della gente. Negli Stati Uniti un po’ meno, il 38%. In Finlandia il 58%, in Olanda il 66% e in Norvegia addirittura il 74%.

E in Italia? Solo il 25% dice che ci si può fidare della gente. In Trentino è il 38% a fidarsi, in Lombardia il 28% e in Sicilia solo il 16%.

Questo è un disastro. Una società diffidente e impaurita è una società che non coopera, non crea, non innova, non investe nel futuro. È anche una società incattivita e imbruttita.

Ecco, quindi, l’obiettivo principale del nostro programma: portare la fiducia degli italiani negli altri ai livelli della Norvegia prima della fine della legislatura.

2. Raddoppieremo la voglia degli italiani di avere figli. A un certo punto della nostra storia recente, diciamo nel XIX secolo, siamo scappati dalla cosiddetta trappola malthusiana. La trappola malthusiana era la situazione per cui periodi di benessere portavano a un aumento della popolazione (la gente stava bene e faceva più figli), ma l’aumento della popolazione faceva si che più persone dovevano spartirsi le stesse risorse e quindi si finiva con lo stare peggio, il che portava nuovamente a una diminuzione della popolazione.

Con la rivoluzione industriale e l’aumento esponenziale delle risorse a disposizione, almeno nel nostro fortunato angolo di mondo, siamo sfuggiti alla trappola malthusiana e oggi l’aumento della popolazione non diminuisce più il nostro benessere collettivo. Anzi. Piu persone spesso vuol dire più inventori, più innovatori, produttori, e quindi ancora più risorse materiali e intellettuali.

Ma per una serie di ragioni complicate, i paesi più ricchi hanno cominciato a fare sempre meno figli. L’Italia rischia il collasso demografico.

Significa un paese più vecchio, più scoraggiato, meno avvezzo al rischio, meno dinamico, meno innovativo e sempre meno ricco. Per invertire la rotta, aumenteremo la voglia degli italiani di avere figli. È vero che tanti decidono di non fare figli, o di farne meno di prima, per motivi economici. Ma noi crediamo che le ragioni principali siano altre: un generale cambiamento culturale, un numero maggiore di cose belle e sfiziose che si possono fare senza bambini, una più bassa propensità a fare cose rischiose.

Per contrastare tutto ciò ci vuole un incremento significativo della voglia di avere figli. Puntiamo al doppio della voglia attuale, ma speriamo addirittura di triplicarla.

3. Ridurremo l’ansia da prestazione del 95%. Abbiamo la fortuna di vivere in un momento e in luogo assolutamente magici della storia umana. Pensate: fino a pochissimo tempo fa, e ancora oggi in tante parti del mondo, “fare una cosa rischiosa,” significa rischiare la rovina e la morte. Anche solo un paio di generazioni fa, nascere, partorire, lavorare, prendere un’infezione, andare alla guerra, invecchiare, tentare un mestiere erano cose seriamente rischiose, nel senso che c’era una probabilità non piccola di finire rapidamente poveri o morti.

Se andiamo indietro di qualche altra generazione, i rischi aumentano. Se saltiamo alla vita dei nostri antenati, persino avvicinarsi alla persona sbagliata poteva farti finire accoppato.

E non è detto che tra 5, 10 o 20 generazioni non si torni in quella situazione li. Questo è un momento magico e chissà, forse anche breve. Che cosa rischiate voi, oggi, in Italia, quando fate cose che ritenete rischiose?

Scegliere il lavoro sbagliato? Scegliere il percorso di studi sbagliato? Chiedere a quel ragazzo carino al bancone se gli piacciono i Kinks? Chiedere un aumento al vostro capo? Fare quel viaggio in Kirghizistan? Tagliarvi i capelli a zero? Mettervi in proprio? Fare il terzo figlio? Provare a pubblicare quella raccolta di racconti? Trasferirvi a Milano? Trasferirvi a Siracusa? Aprire un ristorante?

Di che diavolo avete paura? Tranne rari casi, nessuna di queste cose può rendervi veramente poveri o uccidervi. Eppure, l’ansia da prestazione e la paura del rischio paralizzano esperimenti piccoli e grandi. Lo spread tra l’ansia effettivamente percepita e quella razionalmente giustificata è intollerabilmente alto. Noi lo ridurremo fino al 95% rispetto al livello attuale e l’investimento si ripagherà da sé—anzi, produrrà nuove risorse, finanziarie e no.

4. Sposteremo il locus of control degli italiani verso l’interno. Il libero arbitrio non esiste, ma questo non lo mettiamo nel programma perché non è bene concentrarcisi troppo. Anzi, più si è convinti che il locus of control—cioè le forze che determinano gli eventi della nostra vita—è interno, cioè dipende da noi e dalle nostre scelte, meglio è.

Un nuovo studio stima che le persone che credono che il locus of control sia interno, cioè che pensano di poter determinare gli eventi tramite le proprie scelte e i propri comportamenti, fanno più beneficenza, contribuiscono di più a mitigare il cambiamento climatico, vanno a votare di più, donano di più il sangue e fanno altre cose socialmente utili. Quelli che invece pensano che gli eventi siano determinati da cause esterne, e che non possiamo fare granché per cambiarli, fanno meno tutte queste cose.

Il quarto punto del nostro programma è quindi di spostare il locus of control degli italiani—o meglio, la loro percezione del locus of control—più verso l’interno.

5. Porteremo al 10% la commozione degli italiani per la sonata per pianoforte n. 30 di Beethoven. Pochissimi italiani—nessuno che noi conosciamo direttamente—si commuovono ascoltando il terzo movimento della sonata per pianoforte n. 30 di Beethoven (op. 109). Com’è possibile?

Siamo consapevoli che si tratti di un obiettivo ambizioso, ma puntiamo a raggiungere la soglia del 10% degli italiani commossi (e il 35% di quelli emozionati, ma senza lacrime) al momento del ritorno del tema principale del movimento. In tanti storcono il naso, ci chiamano elitisti: ma gli elitisti sono loro, a cui sta bene che il 99% degli italiani sia condannato a essere strutturalmente escluso da questa esperienza estetica.

6. Introdurremo degli incentivi statali per la sperimentazione e le eresie culinarie. La proposta al momento prevede un bonus da 15 euro a famiglia per rottamare la moka Bialetti e comprare una caffettiera all’americana, una detrazione fiscale fino al 30% per le spese in cucina messicana, indiana, giapponese (con l’eccezione del sushi) e fino al 50% per le spese in cucina peruviana, eritrea, e colombiana.

Introdurremo anche una riduzione degli oneri contributivi per chi apre pizzerie che offrono pizza con l’ananas, ristoranti romani che fanno la carbonara con la pancetta, e bar che preparano il cappuccino solo dopo pranzo.

7. Aboliremo le vite degli autori dai programmi scolastici. I docenti di ogni ordine e grado non potranno fare lezione sulle noiosissime vicende biografiche di poeti e scrittori. Il tempo risparmiato andrà investito nella lettura e discussione di bei libri.

8. Rimischieremo la storia della filosofia. Una commissione ministeriale nominata a casaccio ridisegnerà i programmi di filosofia del liceo in modo da evitare tassativamente l’ordine storico-cronologico delle lezioni. Si studieranno i problemi della filosofia e le teorie più importanti sui vari problemi, vecchie e nuove ma solo se ancora importanti, invece che procedere pedissequamente secolo dopo secolo e anno dopo anno.

9. Regaleremo 100 mila euro l’anno a 1000 persone scelte a caso. Purché con quei soldi provino a mettere su un’impresa che ha più del 90% di probabilità di fallire.

10. Porteremo a 30 secondi il tempo concesso da Netflix per decidere se restare sui titoli di coda o passare all’episodio successivo.

Contiamo sul vostro voto.

Roberto Tallarita

Studia cose tra diritto e economia, ma ha sempre il cruccio della filosofia. Ha vissuto in Sicilia, a Roma, a New York, a Milano; e ora a Cambridge, Massachusetts. Gli piacciono i libri, i paesaggi americani, e le discussioni sui massimi sistemi. Scrive cose che nessuno gli ha richiesto sin dalla più tenera età. Twitter: @r_tallarita