Taylorista acquisito
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Taylorista acquisito
Michele Serra
Martedì 19 dicembre 2023

Taylorista acquisito

(Seth Herald/Getty Images)
(Seth Herald/Getty Images)

Mai chiedere aiuto e consiglio ai lettori del Post. Accorrono a decine, non si risparmiano, ti seppelliscono di informazioni, opinioni, chiarimenti. Su Taylor Swift, per esempio: grazie a voi mi sono fatto una cultura. A domanda avete risposto in tantissimi. Vi ringrazio, e lo dico per davvero. Avete soccorso il vecchio boomer, saldo nei suoi giudizi sugli anni Ottanta (il punk, anzi il post-punk, sì! I paninari no! La caduta del Muro, sì! Berlusconi, no! Il concerto dei Clash in piazza Maggiore, sì! Awanagana e Sandy Marton, no!), ma incerto e smarrito sui tempi che corrono.

Dunque. Primo dato, anzi macrodato, che desumo da molte decine di mail: il successo di Taylor Swift è prima di tutto, e indiscutibilmente, un successo “di genere”. Mi hanno scritto in larghissima maggioranza ragazze, dai venti ai cinquanta. Per loro TS è una specie di amica geniale. Incarna l’intelligenza femminile, l’esperienza femminile, l’indipendenza femminile, la resilienza femminile. E soprattutto: la quotidianità femminile. Sarà anche queer, o lascerà intendere di esserlo quel tanto che basta ad allargare il target, ma l’epica della sua carriera, delle sue cadute e delle sue risalite, è inequivocabile: ragazza tosta e sensibile che non ha bisogno dei maschi per sentirsi tosta e sensibile. Non solo non è poco, ma è tantissimo. È un elemento preciso, non indeterminato, non vago. Voce di donna che dà voce alle donne.
Secondo dato, quasi altrettanto importante: quella che avevo definito “medietà” (non mediocrità) viene rivendicata, a furor di popolo, come una qualità. Farsi capire da moltitudini, non essere “avanguardia”, dare voce anche ai pensieri “ordinari”, però mettendoli in bella copia. Non c’è swiftie che non rivendichi questa facoltà “quantitativa”, raggiungere moltissime persone, colpire il bersaglio grosso, come una qualità. Difficile dissentire, anche se qualche buon argomento da spendere, in favore delle avanguardie, ci sarebbe.
Terzo dato, i testi: la musica magari non è niente di speciale o di sorprendente, dicono in parecchi, ma i testi sì, quelli sono speciali. TS, per il suo pubblico, è fondamentalmente una narratrice. Troverete, in una delle lettere che seguono, un riferimento a Jane Austen che mi ha molto colpito. A mia madre, quando diceva “Jane Austen”, si illuminava lo sguardo. E quando le chiedevo perché (non sono mai stato un gran lettore di Jane Austen) mi rispondeva “sono cose di donne, tu non puoi capire” – e mia madre non era certo femminista…
Quarto dato, last but non least, i social. Nel bene e nel male, mi viene detto che è assolutamente impossibile capire TS se non si conoscono i meccanismi dei social. Tutto, nella sua storia, sarebbe quasi inspiegabile se non si analizza il suo rapporto costante, ossessivo, quasi “carnale”, con il mondo dei social. Far sentire i suoi fan, uno per uno, meglio una per una, parte di una storia comune, di un percorso comune: lei più di ogni altra e ogni altro ci è riuscita. (Se posso dire, è quello che la politica non riesce quasi più a fare). Non pochi i paragoni, qui nella periferia dell’Impero, con Chiara Ferragni, la “ragazza della porta accanto” che conquista la confidenza di grandi masse di persone, in un rapporto “orizzontale” che poi ciascuno di noi è libero di leggere come preferisce, come un merito o come un’astuzia, come un talento o come un inganno, come una nuova forma di democrazia o come un nuovo metodo di speculazione. In ogni modo, senza ombra di dubbio: come una seduzione di enorme successo.
In particolare Laura Fontana, “esperta di fenomeni on line e pop culture”, mi scrive, tra le tante altre, queste parole:
“Non si può capire il successo di TS se non si conosce cos’è la ‘stan culture’.
Gli stan hanno un loro ‘idol’, in questo caso Taylor Swift, e il compito che si danno è quello di far vincere all’idol la gara del successo, facendolo arrivare primo nelle varie classifiche (ci sono account X che monitorano gli andamenti di queste classifiche): perché il successo è come se fosse una manifestazione del divino. Per gli stan più performativi ci sono anche dei riconoscimenti interni alla community… Negli USA ci sono tanti cantanti che volevano essere solo cantanti e non idol (ad esempio: Britney Spears). Taylor Swift invece è quella che definisco ‘un’ancella dell’algoritmo’, assolutamente disposta a dare agli stan tutto quello che vogliono. La stan culture, oltre che aver invaso qualsiasi ambito dello scibile umano, sta andando verso il culto religioso vero e proprio”.

Analisi abbastanza inquietante e un poco distopica, specie nel riferimento “religioso” che lascia pensare a un revival post-moderno dell’idolatria – qualcosa di arcaico in forme nuovissime: curiosando in rete scopro solo oggi che gli stan di Justin Bieber si autodefiniscono “belieber”, ovvero credenti in Bieber. Per altro, di fenomeni idolàtrici la cultura di massa è da sempre molto ricca anche ben prima dell’evo social: da Presley ai Beatles alle grandi dive del cinema, l’aura “divina” incombe nell’adorazione dei fan (abbreviazione di fanatico). Provate a pensare all’assassinio di John Lennon come a un deicidio, e forse vi avvicinerete a quanto fermentava nella mente vacillante del suo killer.

E però, pure se trovo affascinante la definizione di TS come “ancella dell’algoritmo”, non è certo alla stan culture che fanno pensare le tante mail, molto “scritte”, molto riflessive, di swifties che argomentano punto per punto il loro swiftismo. Impossibile dare a tutte lo spazio che meriterebbero, chiedo scusa per la brutale sintesi che segue, ho drasticamente tagliato tutte le lunghe parti “filologiche” nella quali si ricostruiscono puntigliosamente le date dell’ascesa di TS, i cambiamenti di stile, i suoi dischi, la “seconda edizione” degli stessi in anni più maturi. Ho cercato di trarre da ogni lettera il “succo”, e chissà se ci sono riuscito. Apre la serie Viola Stefanello, che ha già ricostruito per il Post la parabola di Taylor Swift.

“Sono del ’95, quando Taylor Swift ha pubblicato i suoi primi album ero alle medie, ne sono rimasta folgorata. Aveva pochi anni più di me (è dell’89) e scriveva esattamente delle stesse cose che stavo provando io, esattamente nello stesso modo in cui le avrei formulate io se avessi provato a scrivere canzoni. La mia è la storia di una ragazzina, ma ce ne sono milioni: negli Stati Uniti già all’epoca c’è stato un picco di vendita di chitarre in una fascia demografica insolita, appunto le ragazzine. Lo snobismo verso band e cantanti (e tanti altri fenomeni culturali) apprezzati soprattutto dalle ragazzine non è ovviamente nato con Taylor Swift e non morirà con lei, ma credimi se ti dico che il quantitativo di misoginia, da parte di persone comuni ma anche dei giornali, attorno a lei e alle sue fan, dall’inizio della sua carriera, è stato notevole. Tutte le volte che vedo un uomo (a prescindere dell’età) che non capisce il successo di Taylor Swift (ma anche il film di Barbie) penso cinicamente ‘certo, dev’essere difficile accettare che una cosa popolare non è fatta per essere capita da te’. In merito ho trovato molto interessante questo pezzo sul New York Times, in cui si parla della ‘fame di rappresentazione’ di una serie di emozioni ed esperienze femminili complesse ma storicamente considerate ininfluenti: e che ora stanno straripando”.
Viola Stefanello

“Seguo Taylor dal 2006 (sono del 1996), anno in cui ha cominciato a diventare famosa fuori dagli USA. Non so dire come l’abbia scoperta, ma sicuramente avere accesso a YouTube (cosa non scontata in una casa con due genitori 50enni, in un paese sull’Etna) ha avuto un ruolo. Ogni sua canzone racconta una storia precisa, quasi tutte con una struttura narrativa che, se vogliamo, potremmo anche definire ‘banale’, standard. Peccato che questo non abbia nulla di banale: oggi quanto è difficile trovare qualcuno che ti sappia parlare direttamente, senza giri di parole e sottotesti? È praticamente impossibile sentire anche una sola sua canzone che non rappresenti qualcosa che si è vissuto o sognato. Questo crea un legame unico. Solidarietà e sorellanza”.
Lucia

“Con il passare degli anni, dopo la ribellione adolescenziale, ho capito che se una buona fetta di ‘popolo’ apprezza una cosa, allora c’è quasi sempre davvero qualcosa di buono in quel prodotto culturale, che sia una canzone o un film. Mi sono detto: devo lasciarmi alle spalle spocchia e volontà di essere diversi, di approcciarmi solo a cose ‘più alte’, devo cercare di trovare il buono e di capire perché una certa cosa piace così tanto. E spesso la risposta è quella che tu hai dato a questo giro, con Taylor Swift: non è necessariamente la ‘cosa migliore’, è quella che magari funziona meglio in quel periodo storico, che riesce a dare più sicurezza e comfort a molte persone in periodi confusionari e poco stabili”.
David

“Per capire il successo di Taylor Swift bisogna capire i social. A mio parere TS è la Chiara Ferragni della musica, ci sono molte analogie tra le due figure. È la ragazza della porta accanto, la giovane di successo che non ha dimenticato le sue radici e i suoi amici più cari. TS è l’idea che se ci vogliamo bene e siamo sempre gentili e scintillanti con il resto del mondo, gli altri crolleranno di fronte al potere dei buoni sentimenti. Proprio come Chiara Ferragni, TS è un nuovo tipo di pop-star: brava, ma non bravissima (spazia tra vari generi, ma in nessuno ha prodotto pietre miliari); bella, ma non bellissima (parere in parte soggettivo, ovviamente, non credo che giochi nello stesso campo di quelle che fanno le “belle” di mestiere, come certe attrici o modelle o influencer); sempre perfetta, ma autoironica. Non è una divinità da adorare e basta, non è un essere ultraterreno, è la ragazza acqua e sapone che ha fatto fortuna e che ci invita alla sua festa, rendendoci partecipi del suo splendore, facendo sentire anche noi illuminati dai suoi brillantini. E in quest’epoca in cui i sei gradi di separazione si sono ridotti ad una storia ri-postata su Instagram, non poteva che avere successo”.
Mattia Rutilensi, 31 anni

“Sono una quarantenne dalla cultura musicale lacunosa e con playlist allucinanti dove a Guccini e De Gregori si accostano Metallica, Dream Theater e Tiziano Ferro. Mi sono accostata a TS con la stessa curiosità da lei descritta, quella con cui anni fa ho iniziato a seguire i post instagram di Chiara Ferragni, perché mi interessava cercare di capire quale fosse l’elemento in grado di decretarne il successo planetario. Non che io sia giunta a una conclusione, e d’altronde nella vita reale sono ingegnere e di queste cose non so nulla, ma mi è parso di essermi già fatta questa domanda in passato su … (so che l’accostamento sembrerà strano) Jane Austen. Avendone sempre adorato i romanzi, mi sono chiesta spesso la ragione di un successo pervasivo e duraturo, nonostante le vicende che racconta siano piccole, limitate a un certo periodo storico, luogo geografico e strato sociale. Eppure tutti (o molti) siamo in grado di riconoscere visceralmente l’umanità dei suoi personaggi, e dei sentimenti che provano, in un cortocircuito che trascende le particolarità di epoca, educazione e casta per arrivare a un nucleo di verità universale. Mi accorgo che le canzoni di TS mi stimolano le medesime riflessioni, mi sembra che ci sia dentro la condizione umana”.
Lidia

“Le canzoni del Lockdown, il miglior racconto di quel primo periodo sospeso del 2020, le ha scritte e pensate e cantate una che fino ad ora, in fondo, non era, nella testa di uno snob musicale come me, che una macchina da soldi, la solita cantante pop molto carina, perfetta bionda Wasp con occhioni azzurri e una buona voce. Una notevole collezione di storie e di idee, come nella durissima ed efficace Mad Woman, e nella trilogia d’amore Cardigan-August-Betty. Per non dire di The last Great American Dinasty. Forse il mio scarso inglese mi confonde, ma il modo di scrivere di Taylor Swift mi ricorda un poco quello di Emily Dickinson. Certo più narrativo, poiché sono canzoni per raccontare storie, ma con lo stesso modo allusivo e illuminante di trasmettersi l’emozione”.
Corrado Truffi

“Apprezzo tanto il gesto di parlare di una cosa così pop. Ti vorrei abbracciare!
Al successone di TS credo abbia contribuito anche Kanye West che nel 2009 era salito sul palco dei VMA per gridare no! non date il premio alla Swift, lo merita Beyoncé. Poi la gestione dei fan: li sa coccolare, premiare, considerare come nessuno prima di lei, perché nessuno prima di lei aveva a disposizione i canali social. Come è successo a Chiara Ferragni anche alla Taylor il digitale ha spalancato le porte a una folle enorme e disponibile”.
Silvia

“I suoi testi sono semplici, diretti, sinceri. E, dico questa parola con molta attenzione, femminili. Come le sue melodie. Ci serve una femminilità leggera, divertente, che non si vergogni di essere tale. Ce l’ha dimostrato ‘Barbie’, prima e unica commedia ad avere trattato i basilari temi del femminismo chiamandoli con il loro nome e averlo fatto con leggerezza, quasi con sfacciataggine. La gente lo ha adorato, io compresa. Credo che ne sentissimo il bisogno. I testi e le musiche di TS non parlano di femminismo, ma parlano dell’essere ragazza e dell’essere donna in modo semplice, diretto, quotidiano. Leggero, non per questo meno sincero. E io, personalmente, non avevo trovato questi contenuti in tale quantità in nessun’altra artista della mia generazione. E ne sentivo la mancanza”.
Una ventottenne

“Ascoltare una sua canzone è come ascoltare un libro in musica. Usa molto le immagini e le metafore. Le emozioni non sono astratte. Non dice ‘Ti ho spezzato il cuore’, dice Your heart was glass, I dropped it (Il tuo cuore era un bicchiere di vetro, l’ho fatto cadere – Champagne Problems). Anche se non hai mai spezzato il cuore a qualcuno, capisci esattamente la sensazione di quando ti cade un bicchiere in vetro di mano e si frantuma. Riesci a vedere la scena come se stesse succedendo di fronte a te. Riesci a percepire la sensazione di lui col cuore frantumato e quella di lei che si sente responsabile. Emozioni e situazioni prendono forma, le vedi davanti a te e provi esattamente quello che sta provando la protagonista della canzone. Questo è il suo superpotere in quanto autrice”.
Giulia

“Sono a tutti gli effetti uno Swiftie. Uno di quelli molto fissati: non perdo nulla dal 2015, vado alle serate a tema, andrò a vederla a Milano e ho un suo santino nella cover del cellulare. Secondo me è brava. Ma tanto brava. Se è vero che non è il massimo dell’originalità per quanto riguarda gli arrangiamenti e la musica, i suoi testi sono dei capolavori. Per la ricercatezza delle parole e della loro sonorità, per la capacità che ha sia di creare scene vivide nel quale ci si trova immersi se si chiudono gli occhi (ad esempio la prima strofa di Delicate o il bridge di Champagne Problems), sia di travolgerti con le emozioni (bridge di Death by a thousand cuts o di Illicit affairs). Se uno non conosce i testi si perde tre quarti della magia e rimane con qualche bel motivetto, ma poche cose iconiche”.
Alberto

“Non sono Boomer, ma sicuramente Millennial Erectus, e il successo di Taylor Swift mi è incomprensibile come mi sembra insostenibile il paragone tra lei e Madonna. La seconda aveva uno stile unico e personale, che ha segnato un prima e un dopo nella cultura Pop, la prima è un pop star media senza guizzi e in cui fatico a trovare una personalità artistica, men che meno un’eredità con cui in futuro poter identificare musicisti swiftiani. Sono pronto a essere smentito, ma credo l’unico merito che le si possa attribuire è quello di aver avuto l’abilità, la prontezza e, perché no?, la fortuna di occupare uno slot culturale in cui storicamente c’è sempre stato poco spazio. Più che dalle parti della grande artista, siamo in quelle della grande imprenditrice. Non è una classificazione gerarchica la mia, solo di approccio. Anzi, non sono certo che le nuove generazioni, più o meno consapevolmente, non la apprezzino proprio per questo”.
Davide

Riprende la parola il curatore. Siamo andati lunghi, ma forse ne è valsa la pena. È stato un piccolo viaggio dentro un “culto” che, alla fine, mi ha coinvolto al punto che nelle mie playlist le canzoni di TS sono diventate quattro: Exile, Marjorie, Cruel Summer, I know places. Quando arriverò a cinque, sarò diventato uno stan? Per adesso, a giudicare dalle canzoni di De Gregori che mi porto appresso (una trentina, almeno) sono sicuramente stan di De Gregori.

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Per Zanzare Mostruose Paola invia, dal Sardinia Post, questo titolo di pochi giorni fa:
MANGIANO FUNGHI NON COMMESTIBILI, INTOSSICATI DUE UOMINI E QUATTRO GATTI
Nella speranza che non si tratti di un’edizione insulare del Post, ci sono da puntualizzare almeno due cose. La prima: non ho mai visto gatti mangiare funghi. I gatti, quanto a gusti alimentari, sono di insopportabile snobismo. La seconda, un poco più capziosa: se un fungo viene mangiato, non può essere “non commestibile”. Magari, purtroppo, è tossico. Ma commestibilissimo, dal momento che il piatto è vuoto e lo stomaco pieno. (La precisione quasi perversa di quanto ho appena scritto mi fa capire di essere, ormai, uno del Post).

INCENDIO ALL’OSPEDALE DI TIVOLI, 4 MORTI PAZIENTI
Il titolo è del giornale Open dell’otto dicembre, lo segnala Raffaello aggiungendo, da onesto, che è rimasto online solo «per pochi minuti». Si tratta del classico errore dovuto alla fretta, che nell’online è ben più dannosa di quanto già era nei giornali di carta. L’effetto comico è però notevole. Se fossero stati meno pazienti, si sarebbero salvati?

Da Repubblica Roma, segnalato da Nicola:

FINANZIERI COSTRETTI A COLTIVARE LA VERDURA PER IL COMANDANTE: SMASCHERATO L’UFFICIALE ORTOLANO
Il titolista, in questo caso, mi sembra incolpevole. È la vicenda in sé, da vecchia Italia rurale, a far sorridere: sembra di essere in Pane, amore e fantasia. Non chiaro se il comandante faceva uso personale del raccolto o lo rivendeva senza retribuire i militi sfruttati.

Sempre in ambito di vecchia commedia all’italiana (qui siamo ai “Soliti ignoti”) questo titolo della Gazzetta del Sud, individuato da Franco:

REGGIO, BECCATI MENTRE TENTANO DI SCASSINARE UNA PORTA BLINDATA SEGUENDO UN VIDEO TUTORIAL PER LADRI: DUE ARRESTI.
Forse la connessione era mediocre e il tutorial poco chiaro.

Gran finale per merito di questa locandina:

GUERRA: A GENNAIO L’ESERCITO A PARMA
Non vi spaventate. Fabio, che la segnala, avverte che il sindaco di Parma si chiama Michele Guerra. Fiuuuu, scampato pericolo.