Sapessi com’è strano
Una newsletter di
Sapessi com’è strano
Michele Serra
Martedì 30 gennaio 2024

Sapessi com’è strano

«Ricordavo molto vagamente Baggio, ci abitava il mio amico Daniele, compagno di liceo di mio fratello Guido, uno dei pochi figli di operai che da così lontano ogni giorno arrivavano in centro per fare il liceo classico al Manzoni»

Il parco delle Cave a Baggio, Milano
(Ansa/Monia Di Santo)
Il parco delle Cave a Baggio, Milano (Ansa/Monia Di Santo)

Negli ultimi anni mi capita sempre più spesso di pensare male del mio primo lavoro (primo in ordine di tempo: il giornalista), e di rimpiangere di non avere dato più energie e spazio mentale agli altri modi della mia scrittura – la letteratura, il teatro, la televisione, ora posso aggiungere: la newsletter. Dopo quasi cinquant’anni (!!) che la mia firma esce sui giornali, la mia voglia interiore, chiamiamola così, sarebbe invecchiare scrivendo, anche perché è la sola cosa che so fare, però stando lontano, sempre più lontano, da quella baraonda di parole che chiamiamo “informazione”. Che non sempre consente riflessione e controllo quanti ne bastano per avere rispetto delle parole. Di chi le scrive e di chi le legge.

Poi però capita che sia proprio il mio vecchio mestiere a darmi certe occasioni, a scuotermi, a tirarmi fuori dal mio guscio, che in vista dei settant’anni tende a indurirsi. Sono andato – anzi, mi hanno mandato – a conoscere Ghali, che fa il trapper, ha trent’anni ed è uno dei favoriti all’imminente Festival di Sanremo. Figlio di immigrati tunisini, padre a lungo in carcere, cresciuto da una madre forte e intelligente nelle periferie di Milano (San Siro, via Padova, Baggio). Considerate le rispettive storie, origini sociali, età, interessi, culture, Ghali Amdouni e il sottoscritto sono due alieni, l’uno per l’altro. Non avrei mai potuto conoscerlo, parlargli, camminare con lui per le strade di Baggio se non avessi fatto il giornalista. E dunque, mi dico, al giornalismo non devo solo una parte considerevole della mia pagnotta e della mia storia. Gli devo la facoltà di andare dove non sarei mai andato, di parlare con chi non avrei mai parlato, di cercare di capire quello che non ho mai capito. E di rimandare la vecchiaia ancora per qualche stagione…

Il risultato della lunga chiacchierata con Ghali potete trovarlo per intero, se vi interessa, sul prossimo Venerdì di Repubblica. Ma tenevo a dirvi, intanto, quanto sia strano, spiazzante, e quanto importante, per un borghese di settant’anni, ritrovarsi seduto al tavolino di un bar-tabacchi cinese con un tipo di italiano nuovo di zecca, impensabile fino a una generazione fa, anche somaticamente sorprendente (immaginate un Battiato arabo, voglio dire più arabo di Battiato); e nessun vecchio cliché, vecchio strumento di interpretazione, vecchia idea giusta o sbagliata, vecchio modo di dire che possa aiutare il boomer e il trapper a capirsi, a trovare parole condivise con le quali descrivere il mondo, o anche solamente Baggio.

Posso solo dire che me ne sono andato contento (spero anche lui) con il nuovo disco di vinile di Ghali (molto vintage, molto di moda, molto intergenerazionale) autografato a pennarello: “al mio nuovo amico Michele”. E l’idea di essere “nuovo amico” di uno così, che a quindici anni si faceva tirare addosso cipolle e pomodori dalle case intorno perché faceva musica (e faceva casino) fino a notte fonda; che se non avesse fatto il trapper – parole sue – sarebbe “finito molto male”; che non sa niente di come ero io a trent’anni, di come vivevo io a trent’anni, di cosa pensavo io a trent’anni, per la stessa identica ragione per la quale io non so niente di come è lui adesso, di come vive e cosa pensa lui a trent’anni. Beh, dicevo, l’idea di essere “suo amico”, seppure per il tempo di un’intervista e di una dedica, mi ha fatto piacere e mi ha fatto sentire un poco meno stufo del mio vecchio Paese e un poco meno pessimista (forse la vecchiaia è: sentirsi più stufi e più pessimisti).

Ricordavo molto vagamente Baggio, ci abitava il mio amico Daniele, compagno di liceo di mio fratello Guido, uno dei pochi figli di operai che da così lontano ogni giorno arrivavano in centro per fare il liceo classico al Manzoni (era un appassionato filologo, poi studiò lettere classiche e diede anche lezioni di latino a quel somaro che ero. Chissà se c’è ancora, chissà dov’è finito).
Andavo da quelle parti, dunque, mezzo secolo fa. Ma Baggio si fermava molto prima, la lunghissima via delle Forze Armate a un certo punto non ce la faceva più a essere città e si buttava nel nulla, in mezzo a campi di guazza e di stoppie. In quel nulla sono poi cresciuti, per chilometri, a decine, a centinaia, gli enormi palazzi senza faccia, qualche sparuta villetta a schiera, le case popolari. E ci è cresciuto Ghali, in un posto che prima non c’era e adesso è gia vecchio anche lui. Proprio lì ha cominciato a scrivere, ancora ragazzino.
Ecco, non ci avevo pensato. Non siamo poi così alieni, Ghali e io. Per campare facciamo la stessa cosa: scriviamo. Magari pure io, se non avessi scritto, sarei finito male.

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“Sono una femminista di seconda generazione, cresciuta negli ambienti di sinistra della periferia romana. Ho ancora vecchie prime pagine degli anni ’80 con mia madre in primo piano, una mano stretta a pugno in aria e l’altra a spingere il passeggino in testa a un corteo. A casa mia non c’erano ruoli di genere, chi aveva il tempo si occupava delle faccende da sbrigare, devo dire che mio padre stira e cucina ancora adesso meglio di me. Oggi vivo in un angolo sperduto dell’Umbria, in un territorio di certo più salubre per mente e corpo ma dove il patriarcato è soffocante, impregna ogni cosa come un liquido inquinante e vischioso. Ciò che per me è naturale, qui è fantascienza”.
“Racconto questo solo per dare alle mie parole un minimo di contesto. Seguo con interesse l’universo femminista, credo che sia la chiave di volta per costruire una società migliore. Ma nello stesso tempo, o forse proprio per questo, negli anni è nata in me una certa insofferenza per i modi in cui vengono gestite numerose porzioni del dibattito. Troppo spesso mi ritrovo a leggere discussioni e prese di posizione ai limiti dell’estremismo che credo non facciano bene alla causa, anzi creano rumore, confusione e duri contrasti (cosa che sembra andare sempre più di moda in ogni ambito). Tutto ciò ha un duplice risultato di cui è necessario tenere conto: da una parte spaventa chi si affaccia al dibattito, molto spesso respingendo le persone, e dall’altra crea posizioni opposte altrettanto dure: e ne abbiamo già troppi di Vannacci, penso io”.
“Condivido con tutta me stessa la rabbia di ogni singol* femminista e vorrei che questa rabbia si tramutasse in marea, con una forza tale da lavare via dall’umanità ogni forma di patriarcato e di sopraffazione. Ma questa non è una guerra che si può vincere in contrapposizione, così come la violenza non si ferma con la violenza. La verità è che ci vuole tanta pazienza. È necessario trovare i toni giusti per coinvolgere e risvegliare le persone, educandole a un altro modo di pensare, mostrando loro la bellezza e la gioia di un mondo libero dal patriarcato, e lo dico sapendo che ci sono e ci saranno anche tante situazioni in cui sarà essenziale urlare al mondo la nostra rabbia. So che sono un’idealista, ma il mio pensiero è nato da esperienze concrete e da un rifiuto verso la deriva intrapresa ormai da ogni urlante dibattito pubblico volto solo a dividere e trincerare. Per questo preferisco leggere l’entusiasmo di Barbie come una presa di coscienza della propria sessualità. Insomma, ragazza: non sei più fatta di plastica, ora anche tu puoi provare piacere! Possiamo cavillare per mesi su un film con tanti strati come è Barbie, ma rischiamo di perdere di vista l’essenziale nascondendolo dietro a discussioni che si mordono la coda. Non fraintendermi, amo i dibattiti, sono il cuore che pompa sangue al pensiero. Infatti amo questa tua newsletter: hai saputo creare un luogo di confronto in cui è un piacere leggere anche le opinioni diverse dalle proprie; non è facile trovare posti così, soprattutto online. A volte mi riscalda il cuore e mi fa sentire meno sola. Per questo ti ringrazio”.
Giulia

Cara Giulia, delle tante lettere su Barbie ho scelto la tua per una ragione contingente e per una ragione generale. Quella contingente: scrivendo della metamorfosi di Barbie (da bambola a donna) avevo messo l’accento sulla raggiunta facoltà di generare, non sulla conquista dell’eros e del piacere. Non è un caso che, oltre a te, altre cinque o sei lettrici mi abbiano scritto per farmi notare che la vulva non è solo l’accesso agli organi di riproduzione: è agente del piacere. Probabilmente, essendo noi maschi gravati da un certo senso di colpa nei confronti di chi partorisce, ho sopravvalutato gli oneri della riproduzione e sottovalutato gli onori dell’eros, ai quali Barbie accede incarnandosi. E dunque, grazie della gioiosa correzione…

Veniamo alla ragione generale: condivido in pieno la tua diffidenza per le posizioni troppo urlate e radicali. Non è una questione che riguarda solo il dibattito sui generi. È la questione delle questioni per chiunque abbia vissuto la politica come una passione, o perlomeno come un pezzo importante della propria vita. Avere ragione serve a poco se questa ragione, anche in dosi parziali, non “passa” in mezzo al grosso della società. Le avanguardie sapienti servono a sollevare i problemi con lungimiranza (li vedono prima degli altri…), ma poi tendono a rinserrare i propri ranghi e diventano respingenti per il resto del mondo.
Le avanguardie hanno senso e un proprio peso specifico (non sempre, ma spesso) in materia d’arte e di letteratura. Ma la politica ha un ruolo “sporco”, massivo, impreciso, contaminato, che è poi ciò che la rende affascinante e addirittura utile. E dunque sì, la pazienza è una dote indispensabile, la pazienza dell’ascolto, il disturbo (a volte pesante) del confronto con chi ha ben poco in comune con te.

Non c’è altra strada – se si vuole lasciare il segno, o almeno provarci. L’altra strada è uscirne, dal mondo, abbandonarlo a se stesso e cercare altrove, in solitudine, la propria serenità. Ho stima per i monaci, per gli eremiti, per i solitari e per i fuggiaschi nelle foreste in Alaska che vivono di sola caccia all’alce. Ho stima, insomma, dell’estremismo esistenziale. Degli estremisti politici invece no, non ho stima, anche quando hanno ragione. La loro ragione è come un gruzzolo non speso. Qualcosa di rigido e di frigido, come Barbie prima di decidere di scendere tra le donne e gli uomini, e confondersi in mezzo a loro.

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Benvenuti a Zanzare Mostruose! Questa settimana Giulio manda un vecchio titolo del Today che sembra fatto apposta per suscitare il ghigno malvagio dei miscredenti:

TORNA DA MEDJUGORJE, INCIAMPA E MUORE

Avrebbe potuto inciampare e morire anche tornando dal cinema, o da uno zoo-safari. Non c’è nesso di causa ed effetto. Ma la tentazione di stabilirlo, quel nesso, è irresistibile (forse lo è stata anche per il titolista). Ancora più micidiale, da questo punto di vista, il prossimo titolo, recentissimo, segnalato da Giorgio e tratto dal sito BlogSicilia:

TRAGEDIA A CACCAMO, SI CONFESSA E MUORE APPENA USCITO DALLA CHIESA

Per alleggerire il clima, che minaccia di sconfinare in un faticoso dibattito teologico, torniamo alle piccole cose. Delizioso il titolo di Val Brembana Web segnalato da Giovanni. Fa riflettere sull’importanza del genius loci:

AI DOMICILIARI PER GLI INCENDI IN VALTALEGGIO: EVADE PER UN FORMAGGIO, ARRESTATO

Sempre di un’evasione, ma a fin di bene, e per abnegazione, tratta il titolo che Giuseppe ha trovato sulla Stampa del 25 gennaio:

IMPRENDITORE DI ORIGINE CINESE AMMANETTATO CON LE FASCETTE, VA A UN APPUNTAMENTO DI LAVORO MA È UNA RAPINA

Speriamo che il datore di lavoro sia stato comprensivo e non abbia valutato con troppa severità le difficoltà di movimento del lavoratore.
Non chiarissimo questo fatterello di “nera” che Silvana ha trovato su UdineToday:

ENTRANO IN NEGOZIO CON UNA CANNA IN MANO E RUBANO UN GIUBBOTTO DA 400 EURO

Bisogna leggere il breve articolo per stabilire che la canna in questione non era un bambù con il quale i malviventi hanno minacciato la titolare: era uno spinello. Per finire in bellezza una recente locandina della Provincia di Sondrio segnalata da Sofia. Nello sforzo di attirare il lettore diversificando l’offerta, a volte si è costretti a stipare nello stesso rettangolo notizie non affini.

MATTARELLA ARRIVA A SONDRIO
FERMATO IN STAZIONE CON LA DROGA

Alla prossima, ragazze e ragazzi.