Congiunti, fase 2
Dal 4 maggio, in base al decreto del Presidente del Consiglio del 26 aprile, è possibile incontrare i propri congiunti (art. 1, comma 1, lettera a): lo spostamento per andare a casa loro, o perché siano loro a venire a casa nostra, rientra ora fra quelli ritenuti necessari. Chi sono però, esattamente, questi congiunti? Se fino a qualche giorno il clima era di grande incertezza, con gli ultimi fatti la situazione si è ancor più ingarbugliata.
La scorsa settimana si è lasciato intendere che la parola congiunto potesse riferirsi anche a un fidanzato o a un amico. Amico e fidanzato non sono sinonimi di congiunto, anche se il legame amoroso o d’amicizia fosse strettissimo, e tuttavia una nota diramata dal Governo (27 aprile) e due successive dichiarazioni di Pierpaolo Sileri (29 aprile), viceministro del Ministero della Salute, ci hanno fatto credere il contrario. La nota di Palazzo Chigi elencava, fra i congiunti, «parenti e affini, coniuge, conviventi, fidanzati stabili, affetti stabili»; il viceministro Sileri, che aveva in un primo tempo riconosciuto nell’amicizia un affetto stabile, ancor più se “vera”, riconfermava qualche ora dopo, pur correggendosi (un amico è un affetto stabile, precisava, solo se è l’«unica persona cara» in città), la possibilità di ravvisare un affetto stabile in un amico particolarmente intimo.
Non c’è dubbio che l’amicizia debba ritenersi un affetto stabile. La testimonianza riportata di seguito è la traduzione italiana ottocentesca di un passo di una lunghissima lettera indirizzata dall’anziano Petrarca a Francesco da Carrara, signore di Padova, L’epistola, sull’arte di governare e sui doveri di un principe, reca un titolo quasi profetico («Quale esser debba chi regge il governo della sua patria») e fu scritta dal poeta nel ritiro di Arquà; il brano vale più di un intero trattato di psicologia o di pedagogia, o di antropologia, sociologia o ermeneutica, incentrato sugli “affetti stabili”:
«Stringendo adunque il molto in poco rammenterò fra le cose umane nessuna esser più dolce dell’amicizia, nessuna più santa, dalla virtù in fuori, e quelli che per potenza e per valore agli altri sovrastano aver più che gli altri bisogno di veri amici, i quali entrino a parte con loro della prospera e dell’avversa sorte. Fa di non chiedere all’amico giammai cosa che onesta non sia, né mai piegarti a far per lui cosa tale; ma se onesta è la domanda, qualunque ella sia, e tu l’appaga.
Tieni sempre per fermo tra gli amici tutto esser comune: uno l’amico, uno il volere, non mutabile né per timore né per speranza, né per pericolo: dover ciascuno amare l’amico come se stesso, ed esser cieco a qualunque disparità di condizione; cerca in somma per tutti i modi che si avveri quel che Pitagora dice, cioè di due doversi far uno. Le quali condizioni della vera amicizia espresse trovansi ancora ne’ libri sacri: poiché negli Atti apostolici leggesi scritto: «quella moltitudine di credenti non aveva che un cuore e un’anima sola, e le cose che possedeva nessuno diceva esser sue, ma erano tutte fra loro comuni.
Né sia chi dica che quella era amicizia di fedeli che si amavano in Cristo, poiché di questa stessa amicizia parlo ancor io, né credo amicizia od altro affetto stabile e fermo se Cristo non siane il fondamento. Convennero anch’essi i filosofi pagani nel credere non darsi vera amicizia scompagnata dalla virtù e dalla sapienza. […]
Noi non miriamo a cose impossibili, ma stiamo contenti a quelle, cui ci è dato di aggiungere secondo le leggi della umana natura: e fra queste è l’amicizia della quale parliamo. Poche, rarissime sono le coppie a noi conosciute di amici legati da un amore perfetto e sublime come quello che rese famosi i nomi di Lelio, e del minore Africano.
Ma se stretta è fra i buoni, anche l’ordinaria amicizia riesce dolce e soave: come quella che non ammette adulazione, non conosce contumelie, ingiurie, disprezzo, mai non viene a discordia, mai nulla ambisce fuor che i vantaggi e l’onor dell’amico, e piena di letizia e di pace tutta si consola e si bea nel mutuo consorzio. Nulla in essa di finto, di doppio, di simulato, di occulto, ma tutto è schiettezza e candore: per guisa che comuni fra gli amici sono i consigli, le opere, gli onori, le ricchezze, l’ingegno, il sangue, e perfin la vita»
(Lettere senili di Francesco Petrarca, volgarizzate e dichiarate con note da Giuseppe Fracassetti, Firenze, Successori Le Monnier, 1869-1870, 2 voll., II, pp. 368-369)
Una volta ammesso il valore di affetto stabile di un rapporto d’amicizia, sia pure a patto che si tratti di un’amicizia duratura e profonda, la questione, pur nell’impossibilità di attribuire ad amico (e a fidanzato) il significato di congiunto, si sarebbe potuta sanare in qualche modo. Così non è stato, perché negli ultimi giorni sono sopraggiunte ulteriori, depistanti novità sull’argomento. Ma procediamo con ordine.
Il sito del Governo, a una domanda tra quelle poste più di frequente (FAQ) in tema di autorizzazione a spostarsi, ha risposto in questo modo:
«L’ambito cui può riferirsi la dizione “congiunti” può indirettamente ricavarsi, sistematicamente, dalle norme sulla parentela e affinità, nonché dalla giurisprudenza in tema di responsabilità civile. Alla luce di questi riferimenti, deve ritenersi che i “congiunti” cui fa riferimento il DPCM ricomprendano: i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)».
Questa FAQ induce alcune riflessioni.
Punto primo. Uno “stabile legame affettivo” è un po’ diverso da un “affetto stabile”, per quanto si possa ammettere che due amici di lunga data siano persone «legate da uno stabile legame affettivo». Giuseppe Conte, in un’intervista del 27 aprile, ha complicato il quadro: «Congiunti è una formula un po’ [..] ampia, generica, […] che non significa che si potrà andare in casa altrui […] a trovare amici, a far delle feste, eccetera. Si andranno a trovare le persone con cui ci sono rapporti di parentela, con cui ci sono stabili relazioni affettive e via discorrendo».
La differenza tra un “affetto stabile” e una “stabile relazione affettiva” è più sensibile della differenza tra un “affetto stabile” e uno “stabile legame affettivo”. Una relazione, più di un legame e ancor più di un semplice affetto, suggerisce un rapporto tra fidanzati o tra amanti. Il messaggio del premier, nel passaggio riportato dell’intervista, è d’altronde inequivocabile: nella fase avviata il 4 maggio persiste il divieto di far visita a un amico.
Punto secondo. Il 27 aprile il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, intervistato da “Quarta Repubblica”, aveva considerato nel termine congiunti i «parenti fino all’ottavo grado». La FAQ governativa restringe il campo, limitando gli spostamenti alle possibilità di incontrare i parenti «fino al sesto grado».
Punto terzo. Gli affini sono i parenti di un coniuge rispetto all’altro coniuge (suoceri e generi, nuore e cognati). Se fra me e mio padre il rapporto di parentela (in linea retta) è di primo grado, fra me e mio suocero il rapporto di affinità è del grado corrispondente. Il ragionamento si applica a tutti gli altri rapporti: se fra me e mia sorella la parentela (in linea collaterale) è di secondo grado, anche fra me e la sorella di mia moglie c’è un’affinità di secondo grado; se fra me e un mio cugino la parentela (in linea collaterale) è di quarto grado, anche fra me e un cugino di mia moglie c’è un’affinità di quarto grado.
Ora, nel nostro ordinamento giuridico, gli affini non sono affini tra loro. I miei genitori, se stiamo alla FAQ, che cita i soli parenti e affini, non potranno dunque vedere i genitori di mia moglie. Vale lo stesso per tutti gli altri parenti acquisiti: potrò incontrare un mio cugino, ma questo non potrà incontrare un cugino di mia moglie; potrò incontrare il marito di mia sorella, e mia sorella potrà incontrare mia moglie, ma i due cognati non potranno incontrarsi fra loro.
Nella circolare diramata il 3 maggio dal Ministero dell’Interno si cambia in teoria ancora. Nell’area dei congiunti si fanno qui ricomprendere, in aggiunta a tutto il resto, le «relazioni connotate da “duratura e significativa comunanza di vita e di affetti”» (il riferimento è a una sentenza della Corte di Cassazione: sez. IV, 10 novembre 2014, n. 46351). Si restringe apparentemente il campo anche rispetto alle “stabili relazioni affettive” di Conte. Per potersi spostare, in aggiunta a quella affettiva, occorrerebbe, secondo la ministra Lamorgese, la “comunanza di vita”. L’espressione vorrebbe forse escluderla, ma anche in questo caso l’amicizia, se duratura e importante, non può essere esclusa. Sarebbe facile portare centinaia di testimonianze, passate e recenti, a sostegno dell’ipotesi che un legame di profonda amicizia possa fondarsi su una comunanza di vita. Questa potrebbe perfino estendersi al rapporto fra due colleghi, legati l’un l’altro da un consolidato sentimento d’affetto, che da anni condividano lo stesso ambiente di lavoro.
Proviamo a riassumere. Il decreto del 26 aprile stabilisce che, dal 4 maggio in poi, ci si può spostare anche per andare a trovare i propri congiunti. La nota di Palazzo Chigi del 27 aprile e la duplice dichiarazione del viceministro Sileri del 29 aprile hanno di fatto smentito quel decreto, in quanto un amico o fidanzato non può essere ritenuto un congiunto. La successiva FAQ di Palazzo Chigi ha smentito il ministro Patuanelli sul grado di parentela necessario per poter incontrare un congiunto: non più l’ottavo, ma il sesto. La circolare del Ministero dell’Interno del 3 maggio sembra ora voler smentire la nota di Palazzo Chigi e le due dichiarazioni di Sileri, e andare oltre la dichiarazione dello stesso Conte. Ai congiunti, oltre ai parenti (fino al sesto grado), ai coniugi e agli affini (fino al quarto grado), ai conviventi di fatto e a ciascun partner di un’unione civile, vorrebbe aggiungere in pratica i soli fidanzati. E tuttavia, se è un po’ difficile pensare di applicare la “comunanza di vita” a due amanti, per il rapporto di clandestinità che generalmente li lega, è più facile ricomprendere in quella comunanza, ancora una volta, un’amicizia duratura e autentica.