Il monosandalismo

Siamo nel mezzo dell’estate, perciò è possibile che chi legge stia indossando ai piedi un sandalo. Sul conto di questa antichissima calzatura ho scoperto una tradizione che non conoscevo. Lo devo a due artiste, Marta Dell’Angelo e Gohar Martirosyan, il cui video è in mostra al museo PAC di Milano, all’interno di una collettiva dal titolo «Take me to the place i love» (fino al prossimo 11/9). Si tratta di un video girato in Armenia nel 2017 e ora proiettato sulla parete bianca all’ingresso del PAC. Il titolo è Tarara. La telecamera insegue le due artiste, ponendosi alle loro spalle con la tenacia di un pedinatore, ma senza eccedere in morbosità o invadenza. Dell’Angelo e Martirosyan vengono riprese dalla cavità poplitea (la fossetta dietro il ginocchio) in giù, mentre la coppia risale il monte Aragats, la vetta più alta dell’Armenia. Nel filmato vediamo i talloni rosei, le caviglie sottili e i polpacci bianchi e lentigginosi delle due artiste, che si posano su terreni di consistenza diversa, a volte muschiosi, altre volte duri e sassosi, altre ancora ricoperti da un fine strato di neve scintillante. La particolarità dell’impresa sta nel fatto che le due donne, dopo aver arrotolato i jeans fino al ginocchio, con un piede calzano un sandalo, mentre l’altro piede resta sorprendentemente scalzo, nudo, con la pianta che poggia malferma sul pietrisco color cenere. E così avanzano sui ciuffi d’erba verde e le viole, sulle rocce bagnate da una sorgente e poi sui cristalli scricchiolanti di neve non ancora sciolta. La scelta in Tarara di camminare con un solo sandalo non è un’idea originale delle due artiste, ma la riproposizione di una tradizione precristiana, quella del «monosandalismo», che consiste nell’indossare un solo sandalo ed è testimoniata dalle cronache dello storico Tucidide, da una serie di miti, dalla letteratura antica greca e romana ed è presente nella scultura e nelle raffigurazioni lasciate su vasi, rilievi e affreschi.
«Monocrepide» è l’aggettivo con cui veniva indicato chi porta un solo sandalo. Poteva trattarsi tanto di un uomo quanto di un dio. Il gesto d’indossare un unico calzare, come si legge anche nella spiegazione al lavoro di Dell’Angelo e Martirosyan, attesta l’avvio di un percorso iniziatico e testimonia un rito di passaggio. Significa che un piede è in stretta comunicazione con gli inferi, con la terra, con il sottosuolo, e l’altro piede, invece, è dispensato dal contatto con le potenze ctonie e con le profondità abissali del pianeta. Da una parte l’iniziato si apre al rischio e all’azzardo, dall’altra si mantiene al di qua e si protegge. Il monosandalismo caratterizza quelle figure che sono state in grado di andare e tornare da una dimensione all’altra, dal mondo dei vivi all’aldilà, anche se in questo caso l’azione compiuta da Marta Dell’Angelo e Gohar Martirosyan è più propriamente un’ascensione. Secondo quanto scrive lo storico Carlo Ginzburg nel suo celebre Storia notturna. Una decifrazione del sabba, la tradizione del monosandalismo appartiene a una stessa costellazione simbolica, così trasversale nel tempo da includere tanto la figura dello zoppo quanto il piede di Cenerentola privato dello scarpino di cristallo. Nella performance di Dell’Angelo e Martirosyan, la fedeltà al carattere rituale del monosandalismo è rafforzata dalla scelta di tenere la telecamera sempre nell’area dei piedi e dei polpacci, senza svelare altre porzioni del corpo, mentre le due artiste conquistano in completa solitudine nuove sommità, che si aprono su vedute e cieli azzurri e vastissimi.
Il video dura poco meno di sei minuti e ha il merito di rimettere in scena una tradizione perduta, risalente a un’epoca remota dell’Occidente e del Mediterraneo. Il fatto di appartenere a una generazione di secoli e secoli posteriore, di oltre due millenni più giovane, può creare un posticcio senso di superiorità, convinti che il fatto di trovarci più avanti lungo la linea del tempo rappresenti una assoluta certificazione di progresso e una garanzia di evoluzione. In realtà, non si è mai abbastanza coscienti della differenza e della complessità culturale e psicologica di chi ci ha preceduto nella storia.

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).