Siccità, crisi climatica ed ecoansia

Ho posteggiato la macchina in un parcheggio a pagamento nei pressi di una spiaggia della Versilia. Si tratta di un parcheggio molto piccolo, appena un fazzolettino di sabbia e asfalto circondato da una staccionata e segnato da un cartello con scritto «Vietato l’ingresso ai non autorizzati». Quando sono uscito dalla macchina faceva molto caldo. I raggi del sole battevano sulla nuca e le spalle nude con una determinazione implacabile. Non so se interpretare questa sensazione come l’effetto di un’alterazione percettiva legata agli allarmi sulla siccità e la crisi climatica. Sto iniziando a soffrire di ecoansia. Sull’uscita del parcheggio c’era un ombrellone. Sotto l’ombrellone, su una seggiolina bianca, era seduta una ragazza sui quarant’anni, in bikini, infradito e un paio di occhialetti da sole. Aveva qualcosa di Dolores Haze detta Lolita, nella scena del film dove Sue Lyon prende il sole in giardino, ma ormai cresciuta e lontana anni luce dal 1962 e dall’occhieggiare malizioso dell’adolescenza. La ragazza era la custode del parcheggio. Accanto a lei c’era un tavolino di plastica con la cassetta di metallo per raccogliere i soldi. Mi sono avvicinato per pagare. La seggiolina della parcheggiatrice era una sedia monoblocco in polipropilene, uno degli oggetti più diffusi al mondo. Mi pare di ricordare che una volta Nicolò Porcelluzzi mi raccontò di aver scoperto l’esistenza dei collezionisti di sedie monoblocco. Credo me ne avesse parlato perché in questa forma di collezionismo, così bizzarro, vedeva nascere un legame spiazzante e affascinante tra l’homo sapiens e gli oggetti di plastica, compresi quelli più sordi e anonimi come la sedia monoblocco. Forse Nicolò, che con Matteo De Giuli ha scritto sul tema del cambiamento climatico uno dei saggi più belli e singolari in circolazione, vedeva nell’accumulo di sedie monoblocco l’immagine di un’esponenziale proliferazione della plastica e di un avvenuto distacco tra uomo e natura. 

Dopo aver versato il dovuto per il parcheggio, è accaduto un fatto che non mi aspettavo. Insieme ai tre euro di resto, la ragazza mi ha passato un piccolo volantino di Extinction Rebellion, il movimento di disobbedienza civile non violenta, nato in Inghilterra prima della pandemia per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravissima emergenza climatica. Me lo ha passato così, senza aggiungere parola, come se fosse un invito a leggere in solitudine. Il volantino denunciava il «collasso climatico» e i rincari sulle bollette dovuti all’intrecciarsi di «ondate di calore e siccità allagamenti e guerra». Il gesto mi ha stupito. Non è forse un fatto piuttosto raro imbattersi in un lavoratore che non si lascia assorbire dalla routine di un lavoro, ma che al contrario decide di fare politica sul posto di lavoro? Un lavoratore che si ribella all’estinzione della specie. Il contesto del parcheggio, immerso nella violenza della calura, aggiungeva particolare significato alla nostra interazione. La distribuzione del volantino era quasi un momento di espiazione rispetto al servizio svolto dalla parcheggiatrice, accogliendo quelle decine di automobili roventi, arrivate al parcheggio dando il proprio piccolo contributo alle emissioni di anidride carbonica. La parcheggiatrice non era più Lolita, ma un personaggio di Jonathan Franzen, con i modi semplici, informali e amichevoli comuni a molti militanti di sinistra versiliesi. L’ho ringraziata. Mi ha informato sulle attività di Extinction Rebellion e poi, non ricordo dove è andato a parare il suo discorso, perché non riuscivo più ad ascoltarla, talmente ero distratto dalla vertigine che stavo vivendo: ero di fronte alla figura di una parcheggiatrice, in bikini e occhiali da sole, che recava un messaggio che aveva che fare con la fine della specie umana. La parcheggiatrice parlava in modo chiaro e diretto. Vedevo gli occhi calmi ed espressivi oltre le lenti color nocciola. A un certo punto, questo lo ricordo, la parcheggiatrice ha detto, più o meno, che ci troviamo in una situazione molto seria e che non tutte le persone, ha precisato, sono «non violente come noi» -mi stava includendo, con generosità, nella categoria dei non violenti- ma quando le risorse idriche scarseggeranno per davvero, ha detto, allora saranno guai e vedremo quanto degrado e miseria può generare negli uomini la lotta per la sopravvivenza. 

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).