Perché il berlusconismo è finito

Spesso si sente chiedere se il berlusconismo sia finito e spesso si sente rispondere che anche se Berlusconi è fuori dal parlamento ed è in difficoltà il berlusconismo è lungi dall’essere terminato. Basta intenderci sulle definzioni. Spesso se ne parla come se “berlusconismo” fosse una nozione morale, una classe di comportamenti, una forma dello spirito. E allora si dice che sì, Berlusconi è in difficoltà, ma il berlusconismo ormai ci è entrato dentro, come un virus che va ben al di là della presenza di Berlusconi.

A me pare che in questo senso si parli di berlusconismo in modo del tutto improprio e arbitrario (e infatti poi ognuno lo carica della moralità che gli fa più comodo). A mio modo di vedere il berlusconismo è una formula strettamente politica, data dalla saldatura, sulla carta impossibile, tra il secessionismo e le rivendicazioni antisolidaristiche della Lega, il centralismo di una certa destra non identitaria, la golden share di un certo cattolicesimo politico fortemente identitario e comunitario e con spunti solidaristici, rappresentato per esempio da CL, e tutto questo garantito dalla forza economica ineguagliabile e dal controllo dei media di Silvio Berlusconi, che ha plasmato un linguaggio politico duttile, capace di far coesistere tutti gli elementi precedenti.

Senza Berlusconi e la sua base di potenza economica e mediatica, senza la sua capacità di fare presa sulle generazioni chiave degli anni ’90 e 2000, senza la sua capacità di trasformare quella formula in cultura politica, questo schema politico, che giustamente da lui prende il nome, non ci sarebbe mai stata. Berlusconi nella sua carriera politica ha perso molte volte. La prima, nel ’94, dopo la grande vittoria, perché la Lega non si lasciava integrare nella formula, ma poi ha perso due volte da Prodi e due volte per cedimenti interni. È rimasto sempre in sella per l’impossibilità tecnica che qualcuno scalfisse la sua leadership – e soprattutto per le basi materiali della sua leadership – e per la struttura del parlamentarismo italiano, che guarda caso Berlusconi non ha mai voluto cambiare (chi pensa che un rafforzamento dell’esecutivo o l’elezione diretta dell’esecutivo, per esempio nella forma semipresidenziale, sarebbe una contaminazione culturale “berlusconista” si sbaglia, perché sarebbe al contrario un antidoto a berlusconismi futuri). In questo senso la più grande vittoria di Berlusconi è stata quella del 2008, quando la sua formula politica riuscì a sfondare, affondando la coalizione concorrente, già logorata dall’esaurirsi, con la caduta di Prodi, della formula politica “ulivista”, che il Pd non aveva peraltro ripreso.

Certo, 20 anni di berlusconismo hanno anche creato una cultura politica, o meglio si sono appoggiati su elementi di una cultura esistente riorganizzandola, politicizzandola, e presidiandola, cristallizzandola il più possibile grazie ai media e creando un linguaggio a cui anche una parte della sinistra si è assoggettato per ricavarne vantaggi e posizionamenti.

Il berlusconismo così inteso è finito. È finito nel 2011 quando Berlusconi è stato sollevato dal suo incarico e la sua formula politica si è dissolta direi concettualmente. Il ridimensionamento di una Lega culturalmente in declino, i tentativi precedenti di una parte di destra di affrancarsi dallo schema, addirittura il riposizionamento di CL fuori dai recinti di cui era stata guardiana, hanno reso obsoleta quella formula. Questo vuol dire che Berlusconi è fuori gioco? No, perché ha le risorse per rendere difficile il governo a chiunque, perché è un ottimo oppositore e la forza economica e mediatica è naturalmente sempre presente. Ma le generazioni a cui faceva riferimento non hanno più la presa sulla società che avevano 20 anni fa e il loro potenziale culturale si è eroso. Il berlusconismo, quella formula “berlusconista” è finita. E neppure Silvio Berlusconi può restaurarla per un periodo lungo. Silvio no, ma cambiando tutto, rivolgendosi diversamente a generazioni diverse, con una formula che non può essere più la stessa, ma che può averi spazi, un altro membro della famiglia Berlusconi potrebbe tentare, con buone ragioni, di dare vita a un altro berlusconismo.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.