Il PD e la mozione della rimozione

Si può pensare, come dicono molti elettori e credo tutti i candidati a segretario del Partito Democratico, che il Partito Democratico vada “ricostruito”. È un’opinione legittima, probabilmente la più sensata – ed è un’opinione molto forte, che contiene necessariamente un giudizio molto negativo su come è stato condotto il Partito Democratico fin qui. Non solo su quello che è successo dopo le elezioni, ma anche e soprattutto su quello che è successo prima. Per questo è sorprendente che l’espressione “ricostruzione” venga usata da molti elettori e candidati che hanno sostenuto dal primo all’ultimo giorno Pier Luigi Bersani, che è stato segretario del Partito Democratico per quattro dei suoi sei anni di vita e si è dimesso solo pochi mesi fa.

O meglio, non è del tutto sorprendente: fin dalla sua fondazione il Partito Democratico si basa sul sostegno del gruppo dirigente e del “corpaccione” degli iscritti al candidato apparentemente più forte, a prescindere dalle sue posizioni politiche. Ma è deprimente: ci sono persone, tante, che in questi sei anni sono sempre state in maggioranza, sempre dalla parte del segretario, chiunque fosse, qualunque cosa facesse. Oggi dicono che “tocca a Renzi” e quindi stanno con Renzi, ignorando le loro responsabilità nel disastro, facendo sì con la testa davanti a cose che ieri contestavano; parlano del disastro allargando le braccia, come se fosse qualcosa che gli è capitato, come se fosse un temporale; domani diranno che “tocca al prossimo” e staranno col prossimo, adeguandosi. Altri invece dicono che Bersani fu troppo timido, che bisogna proseguire su quella strada ma facendo di più, mostrando di essere fuori dalla realtà: se Bersani avesse vinto le elezioni avrebbero detto che era una vittoria della sua linea e bisognava proseguire su quella strada ma facendo di più, siccome Bersani ha perso dicono che bisogna proseguire su quella strada ma facendo di più. E aggiungono però che bisogna “ricostruire”.

Si può dire che il Partito Democratico va ricostruito solo al prezzo di dire che Bersani e i suoi hanno fallito: che nel migliore dei casi hanno snobbato il partito e nel peggiore dei casi lo hanno distrutto, che per questo vanno giudicati severamente e che da questo bisogna trarre delle conclusioni, cambiare direzione, fare cose diverse rispetto a quelle di prima. Si può cambiare idea, naturalmente: basta dirlo, spiegare di aver avuto torto. Ma non si possono sostenere entrambe le posizioni. Difendere le azioni di Bersani e del suo gruppo dirigente si può fare solo al prezzo di rinunciare alla retorica sulla “ricostruzione” del Partito Democratico e presentarsi onestamente come quelli della continuità: quelli per cui le cose sono andate bene fin qui e quindi è il caso di proseguire su quella strada. Buona fortuna.

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).