Edwin Edwards, una storia

Edwin Edwards ha ottantatré anni. È un politico, è americano, è bianco ed è democratico. Viene eletto governatore della Louisiana per la prima volta nel 1972, facendo molto parlare di sé per il suo essere perennemente sopra le righe: polemico, carismatico, impomatato, molto colorito, appassionato di lusso e bei vestiti. È un bianco democratico del sud, e nonostante sia un democratico del sud nato negli anni Venti, è un fortissimo sostenitore dei diritti civili: è stato il primo governatore della Louisiana a scegliere dei neri e delle donne per importanti incarichi della sua amministrazione. Ed è ateo: o meglio, non ha mai detto di essere ateo, ma ha detto che non crede nella resurrezione di Cristo e che, se c’è un paradiso, lui non crede di andarci.

Fa due mandati, nel periodo in cui il settore petrolifero della Louisiana va alla grande. Nel 1979 la costituzione dello stato gli impedisce di candidarsi di nuovo. Aspetta quattro anni e si ricandida nel 1983: è così sicuro di vincere che dice che può perdere “solo se mi beccano a letto con una ragazza morta o con un ragazzo vivo”. Del suo avversario, un repubblicano a caso, ha poca considerazione: “è così lento”, dice, “che ci mette un’ora e mezza a guardare 60 Minutes“. Lo rieleggono, comunque, nel 1983: terzo mandato. La campagna elettorale costa più del previsto, così Edwards tira su dei soldi offrendo a seicento persone la possibilità di fare un viaggio con lui in Europa. Ognuno paga diecimila dollari, la maggior parte dei quali finisce a ripianare i debiti. Vanno in Francia e in Belgio: mangiano a Versailles e giocano al casinò di Montecarlo. Perché Edwin Edwards è anche fissato col gioco d’azzardo, coi casinò, con le scommesse. Tornano a casa, ognuno col suo bel adesivo: “I did Paris with the Gov.”. Per molti anni in Louisiana capita di imbattersi in auto con l’adesivo attaccato sul portabagagli.

La terza legislatura non è un trionfo come le altre due. Il settore petrolifero aveva fatto la fortuna della Louisiana negli anni Settanta ma le cose sono cambiate. Le finanze dello stato se la passano male. Edwards introduce delle nuove tasse, cosa che non giova alla sua popolarità. Poi arriva il colpo di grazia, o meglio: quello che sembra il colpo di grazia. Il procuratore dello stato lo mette sotto inchiesta accusandolo di aver preso due milioni di dollari di tangenti in cambio di qualche favore a qualche azienda. Corruzione. Durante il processo, a un certo punto Edwards raggiunge l’aula dell’udienza con un mulo, partendo dal suo hotel: per rappresentare simbolicamente la rapidità e l’intelligenza del sistema giudiziario, dice. Tiene delle conferenze stampa che sono degli show. Alla fine viene assolto. La sua popolarità però è andata, anche perché la stampa inizia a indagare in modo più puntuale sulle sue abitudini: vengono fuori viaggi a Las Vegas durante i quali Edwards perde centinaia di migliaia di dollari giocando d’azzardo sotto falso nome e pagando con valigette piene di soldi di dubbia provenienza. Il suo mandato finisce, Edwards decide incredibilmente di candidarsi di nuovo.

Si vota con una specie di maggioritario a doppio turno, senza primarie. Edwards viene sfidato da molti candidati, tra questi un democratico moderato che si chiama Buddy Roemer. A un certo punto, durante un dibattito, Roemer dice che se dovesse essere sconfitto darebbe il suo appoggio a chiunque. “Chiunque ma non Edwards”. I sondaggi lo davano per ultimo, prima del dibattito: dopo quella frase raggiunge e supera tutti gli altri. Edwards allora ribalta il tavolo e si ritira, prima del voto: sembra una resa incondizionata, ma così facendo impedisce a Roemer di allargare la sua coalizione cercando l’appoggio di tutti gli altri candidati. Roemer deve ancora essere eletto ed era già un governatore di minoranza. Vince, comunque. Ma Edwards si mette lì e aspetta, quattro anni.

È il 1991 ed Edwards, ritenuto da molti un politico logoro e implicato in strani affari, decide di candidarsi a un quarto mandato da governatore della Louisiana. Gira un detto, in quegli anni, messo in giro da un giornalista locale: Edwards potrebbe vincere solo se il suo sfidante fosse Adolf Hitler. I repubblicani decidono di sfidare il pronostico candidando David Duke: un pazzoide suprematista bianco, negazionista dell’Olocausto, ex membro del Ku Klux Klan e di qualche gruppetto neonazista. E c’è sempre Roemer, il governatore uscente. Al primo turno Edwards prende il 34 per cento. Arriva secondo Duke, il nazista. Governatore eliminato. Ballottaggio: Edwards contro Hitler, o quasi. Edwards si prende l’appoggio dei democratici in massa e di molti repubblicani: persino il presidente George H. W. Bush lo sostiene pubblicamente. Chiunque ma non il nazista. Edwards vince: quarto mandato.

Fa aprire diversi casinò, e quindi è tutto un fiorire di case da gioco, richieste di licenze, casinò sulle barche, permessi da accordare, favori da chiedere e da fare. Amministra ordinariamente le finanze dello stato. Emana un ordine esecutivo per proteggere gli omosessuali e i transessuali dalle discriminazioni da parte del governo statale per quel che riguarda servizi, contratti, condizioni lavorative. Annuncia che si candiderà per ottenere un quinto mandato, poi si sposa (per la seconda volta) e cambia idea, annunciando invece che alla fine del suo mandato andrà in pensione. Edwards finisce il suo mandato, non si ricandida, va in pensione.

Nel 1998 un imprenditore texano lo accusa di aver ricevuto tangenti per quasi un milione di dollari. Le indagini vanno spedite e stavolta gli investigatori non vogliono che finisca come qualche anno prima: lo seguono, lo filmano, lo registrano, alla fine si ritrovano in mano un sacco di materiale e soprattutto un sacco di prove. Le licenze per i casinò venivano semplicemente vendute al miglior offerente. Edwards viene condannato, riconosciuto colpevole tra le altre cose di corruzione, associazione a delinquere, estorsione, riciclaggio di denaro. È il 2001. Edwards ha settantaquattro anni. Viene condannato a dieci anni di prigione e ci va sul serio: niente condizionale, niente domiciliari.

I primi tre anni li passa in un carcere del Texas, poi lo trasferiscono in una struttura in Louisiana. Lui nel frattempo divorzia dalla seconda moglie e si mette con un’altra donna. Nel 2007 compie ottant’anni. Nel 2008 alcuni amici di Edwards, due suoi ex rivali politici e l’ex presidente George H. W. Bush chiedono all’allora presidente George W. Bush di graziarlo, alla fine del suo mandato. Bush nega la grazia, poi lascia la Casa Bianca, poi arriva Obama. Nel frattempo i dieci anni passano. Oggi, 13 gennaio 2011, Edwin Edwards è uscito di prigione.

Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).