Campionato riaperto

Che i liberaldemocratici britannici non potessero che trarre vantaggi dal dibattito di giovedì era abbastanza prevedibile: abituati a scomparire nella dialettica tra laburisti e conservatori, Nick Clegg ha avuto la storica opportunità di rivolgersi ai cittadini da una posizione sostanzialmente paritaria a quella di Brown e Cameron. William Underhill scriveva il 12 aprile – prima del dibattito, quindi – che

l’opportunità di trovarsi in prima serata e sullo stesso piano dei due pesi massimi sarà un vantaggio per lui e il suo partito. Comunque si comporterà davanti alle telecamere, la sua presenza sul palco non farà che spingere la sua crescita.

Io stesso davo i libdem come prossimi a un risultato elettorale molto positivo, ma facendo due errori. Il primo, considerando solo l’elettorato laburista deluso come fronte dal quale Clegg poteva rosicchiare consenso, un punto alla volta: per la complicata posizione di Brown, per l’inevitabile logoramento del Labour frutto di tredici anni di governo, per la telegenia di Clegg e Cameron a scapito dello stesso Brown. È successo invece che Clegg sta sottraendo diversi consensi anche ai conservatori, approfittando più di quanto sembrasse possibile di un fattore di cui avevo scritto – il fatto che lo stesso Cameron si trovi da tre anni nella scomoda posizione di vincitore annunciato e primo ministro designato – e di un altro che non avevo considerato. Da quasi un anno il leader dei conservatori ha puntato l’intero messaggio della sua campagna elettorale sul cambiamento. “Vote for change”, dicono i loro manifesti e dice ogni due per tre Cameron. Una decisione comprensibile e sensata, visto che il volto e il partito del suo avversario sono sostanzialmente gli stessi da tredici anni a questa parte. Solo che Cameron ha cominciato la sua rincorsa troppo presto, e a pochi giorni dal voto i cittadini britannici hanno scoperto qualcuno che rappresenta un cambiamento ben più radicale e significativo di lui, non fosse altro perché ne avevano sentito parlare poco e niente: Nick Clegg. Ecco quindi che per Cameron diventa molto difficile sorpassare il leader dei libdem sul fronte pre-politico della rottura con il passato. Chi vorrà davvero “votare per il cambiamento”, perché non dovrebbe votare Clegg?

Il secondo errore l’ho fatto sottovalutando l’impatto del dibattito elettorale su un pubblico che non ne aveva mai visto uno. Ho giudicato quel dibattito con lo stesso metro col quale avrei potuto giudicare un dibattito elettorale statunitense, senza tenere conto che gli Stati Uniti hanno una cinquantennale esperienza con quel tipo di evento durante le campagne elettorali, mentre per la Gran Bretagna si trattava di una prima volta assoluta. Questo dibattito rischia di avere per queste elezioni la stessa determinante influenza che ebbe il primo dibattito presidenziale della storia degli Stati Uniti, quello del 26 settembre 1960 tra Nixon e Kennedy: un dibattito che diede una terribile mazzata a Nixon – al quale non servirono le ottime prestazioni dei due successivi dibattiti, nei quali sconfisse Kennedy – e cambiò per sempre la storia di quell’elezione presidenziale: la sua influenza sul risultato finale fu così gigantesca che dovettero passare sedici anni prima che due candidati alla presidenza si mettessero di nuovo d’accordo su un dibattito televisivo.

È ancora troppo presto per dire se i prossimi due dibattiti britannici normalizzeranno la situazione, o se il surge dei liberaldemocratici e di Clegg è destinato a durare. Quello che sappiamo è che se l’elezione britannica dovesse diventare una corsa a tre, il primo ad avvantaggiarsene in vista della vittoria finale sarebbe il Labour, forte di una dislocazione territoriale del proprio consenso che gli permetterebbe di conservare la propria maggioranza alla camera dei comuni anche a fronte di un risultato nazionale pari o leggermente inferiore a quello dei suoi avversari. Il secondo sarebbe naturalmente Clegg, che in una situazione di sostanziale pareggio tra Brown e Cameron diventerebbe di fatto l’ago della bilancia. Chi si ritroverebbe nei guai sarebbe David Cameron, la cui vittoria fino a poche settimane fa sembrava ineluttabile e a cui invece i liberaldemocratici potrebbero giocare un pessimo scherzo.

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Francesco Costa

Vicedirettore del Post, conduttore del podcast "Morning". Autore dal 2015 del progetto "Da Costa a Costa", una newsletter e un podcast sulla politica americana, ha pubblicato con Mondadori i libri "Questa è l’America" (2020), "Una storia americana" (2021) e "California" (2022).