Halloween e umorismo jimi

A Tokyo c’è una vita che appare normale, di una normalità che convive con il virus. Il numero di contagiati è basso, quasi tutte le attività si svolgono in posti sanificati e con le ormai classiche precauzioni: mascherine, disinfezione delle mani, spesso controllo della temperatura e richiesta di lasciare la mail. In questa nuova normalità si può andare al cinema, ai musei, fare sport, mangiare al ristorante e anche andare a ballare nei club. La città vive a ritmo ridotto, i più anziani non escono se non per le necessità più stringenti e girando si ha l’impressione che l’età media della popolazione sia precipitata improvvisamente. I locali sono pieni per meno della metà della capienza di un anno fa ed è possibile trovare subito posto in ristoranti che normalmente richiedevano una prenotazione mesi prima, le mostre e i musei sono così spopolati che sembra li abbiano aperti apposta per chi li visita. Il governo ha stanziato fondi per chi vuole fare dei viaggetti sul territorio nazionale (la campagna si chiama GO TO TRAVEL) o per mangiare fuori (GO TO EAT). Ho l’impressione che il COVID19 sia da annoverare tra le disgrazie naturali che hanno colpito il Giappone lungo i secoli, una calamità di cui si prende atto, che si combatte con metodicità e alla fine ci si convive.
Nel frattempo è trascorsa la sentitissima festività di Halloween. 

Un po’ di storia di questo innesto:
la festa dei morti in Giappone c’è già: si chiama O-Bon e cade in piena estate; anche qui i defunti visitano la famiglia, si va al cimitero a lavare la pietra della tomba immersi nel frinire assordante delle cicale. Qui inizialmente Halloween era una festa solo per anglosassoni residenti in Giappone, ma poi la passione locale per le feste, l’occasione per pompare il commercio e la sua posizione nel calendario proprio tra la fine delle celebrazioni di fine estate e il Natale hanno portato Halloween nel calendario ufficiale. Alcuni negozi di giocattoli hanno colto l’occasione con vendite mirate, e negli anni ‘80 il consiglio di quartiere di Omotesando (la zona che a Tokyo ha più spirito di emulazione verso l’occidente) ha deciso di promuovere una sfilata in costume per bambini e adulti. Da lì la cosa si è estesa tramite eventi speciali nei parchi a tema della città, ai negozi e ai locali. Se negli anni 00 vestirsi in costume alla fine di ottobre era un po’ chic e dava un tono di persona di mondo con amici d’oltremare, adesso è lo standard di chiunque sotto i 30 anni. Gli elementi che si combinano durante Halloween sono già presenti nella cultura “tradizionale” giapponese: il cosplay, i mostri (gli yōkai infestano le fantasie e le leggende locali), i dolcetti. Poi si è generato un elemento nuovo e inaspettato: negli anni ‘10 la gente ha cominciato a girare per la città attrezzata con maschere sempre più elaborate, ironiche, provocanti, morbose. Sul carro dell’esibizionismo sono saliti anche gli appassionati di automobili e moto elaborate, sgasatori smarmittati e possessori di car audio grandi quando il veicolo stesso. La gente ha cominciato a bere per strada le birre comprate nei minimarket (conbini), esaltarsi, scattare foto e socializzare con gli sconosciuti. Il titolo di centro di questo carnevale se lo è aggiudicato Shibuya con la sua identità di piazza sui generis. A questo punto la polizia si è un po’ arrabbiata. In Giappone eventi di questo tipo sono considerati molto pericolosi dalle autorità dell’ordine pubblico. E in effetti oltre alle cose divertenti durante la festa in strada sono aumentati i casi di molestie, poi nel 2018 un gruppo di invasati ha distrutto un furgoncino ribaltandolo. Il tutto si è chiuso con arresti, condanne, e il divieto di vendita e consumo di alcolici in tutta la zona.
Quest’anno, con il pericolo COVID, il messaggio è stato “festeggiate Halloween a casa” e tutti si sono adattati. Il 31 ottobre, che pure cadeva di sabato, a Shibuya c’era un po’ di folla ma pochissimi costumi e l’impressione era che molti volessero guardare ma senza mettersi in mostra.

Un’iniziativa molto caratteristica e divertente è jimi halloween, dove jimi (地味) significa non appariscente, dimesso. Si tratta di una sfilata di persone in costumi originali autoprodotti, il cui tema deve essere un umorismo sghembo, minimale. La manifestazione è diventata abbastanza famosa negli anni, è sponsorizzata da grossi gruppi e personalmente la attendo ogni anno con trepidazione, da grande fan dell’umorismo nipponico (forse non sempre apprezzato come meriterebbe). I travestimenti sono invariabilmente ricavati dal campo del reale o perlomeno dal mondo del probabile.
Alcuni esempi: 

Un bug che confonde la faccia con lo sfondo virtuale durante una riunione di zoom

https://twitter.com/Purin_Hayasaka/status/1322169401844531202

Una persona che esce solo per fare una foto per il passaporto (notare il pantalone casual perché comunque non è inquadrato)

https://twitter.com/eritteakoma/status/1322495943493607426

Un’impiegata che deve inviare una mail di risposta urgente dalla banchina del treno

Custode dello zoo nella gabbia dei panda

Persona in videoconferenza da casa

 

Persona che non sa che le olimpiadi sono state rinviate

 

Persona che fa la spesa e ostinatamente non vuole il sacchetto di plastica, che da quest’anno si deve pagare

 

 

Il mio preferito: il pilastro di una sala per concerti, famoso per ostruire la vista del palco.

 

 

Flavio Parisi

Flavio Parisi @pesceriso vive in Giappone dal 2004, insegna italiano all'Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, e l'opera lirica in una università giapponese. Il suo blog personale è Pesceriso.