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  • Sabato 4 maggio 2024

In Belgio le persone che lavorano con il sesso potranno avere contratti da dipendenti

Dal 2022 potevano già lavorare legalmente, ma soltanto da libere professioniste: la versione finale del testo però non piace ad alcuni gruppi femministi

Una manifestazione a favore dei diritti dei e delle sex worker a Londra nel 2018 (Juno Mac/Flickr)
Una manifestazione a favore dei diritti dei e delle sex worker a Londra nel 2018 (Juno Mac/Flickr)
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Giovedì il parlamento del Belgio ha approvato una legge che consentirà alle persone che lavorano con il sesso – dette sex worker, categoria che include chiunque offra servizi legati alla sfera sessuale in cambio di denaro, come escort ed attori e attrici porno, e di cui fanno parte sia donne che uomini e persone non binarie – di ottenere regolari contratti di lavoro da dipendenti.

La legge fa parte di un più ampio programma di riforme della regolamentazione del sex work che il Belgio ha intrapreso nel 2022, quando tra i primi paesi al mondo a decriminalizzare la prostituzione. Finora, però, le migliaia di sex worker del paese (il 95 per cento delle quali sono donne) potevano lavorare soltanto come libere professioniste, e non come dipendenti: da ora potranno quindi ottenere contratti più stabili, e maggiori garanzie sul rispetto degli orari di lavoro, sulla retribuzione e sull’accesso alla previdenza sociale.

I ministeri dell’Economia e del Lavoro, Salute e Giustizia avevano elaborato il testo della legge lavorando per mesi in collaborazione con esperti e associazioni dedicate ai diritti dei sex worker. La versione finale del testo è stata approvata a larga maggioranza, con 93 voti favorevoli, 33 astenuti e nessun voto contrario. La legge permetterà inoltre a chi lavora col sesso di rifiutare di svolgere determinate prestazioni o di interagire con specifici clienti senza che questo costituisca motivo di licenziamento, e prevede che venga installato un pulsante di emergenza in ognuna delle stanze in cui si svolgeranno le prestazioni.

La legge prevede obblighi anche per i datori di lavoro, che non dovranno avere precedenti penali, dovranno mantenere la propria sede legale principale in Belgio e garantire che sul posto di lavoro ci sia sempre una persona a disposizione che possa intervenire in caso di emergenza. Chiunque impieghi sex worker al di fuori di questo quadro legale sarà perseguibile per sfruttamento della prostituzione.

– Leggi anche: Il sex work dovrebbe essere considerato un lavoro?

La legge tocca un tema considerato storicamente uno degli argomenti più divisivi all’interno dei movimenti femministi. In Belgio negli ultimi anni gran parte dei gruppi femministi del paese si è espressa a favore della progressiva decriminalizzazione della prostituzione, ma esistono comunque varie associazioni abolizioniste che, con varie argomentazioni, ritengono che la prostituzione non possa essere considerata una forma di lavoro e vada abolita.

Chi sostiene questa tesi pensa che la prostituzione non venga esercitata dopo una scelta libera e consapevole, e che invece sia una delle forme della violenza patriarcale e dello sfruttamento capitalista, oltre che dannosa a livello individuale e per tutte le donne in generale. Nel caso specifico un collettivo di circa venti gruppi femministi ha criticato il fatto che il testo non aiuti le persone a uscire dalla prostituzione, se lo desiderano, e che non tenga conto del problema dello «sfruttamento del corpo delle donne» da parte della clientela, prevalentemente maschile.

Altri esperti temono invece che il nuovo quadro giuridico protegga alcune persone ma renda ancora più precaria la condizione di altre, a partire dagli stranieri che si trovano in Belgio senza permesso di soggiorno e che non possono quindi firmare contratti di lavoro. La preoccupazione è che queste persone continueranno a essere sfruttate da gruppi criminali che agiscono ovviamente al di fuori dei parametri dalla nuova legge.

Al contrario, secondo Daan Bauwens, portavoce dell’Union belge des travailleurs et travailleuses du sexe, una delle associazioni consultate durante il processo di stesura del testo, il riconoscimento legale del lavoro sessuale limiterebbe questi rischi perché «grazie all’inquadramento nel diritto del lavoro sarà molto più semplice individuare le situazioni di quel tipo. Se le leggi sul lavoro non vengono rispettate, la persona può essere condannata per sfruttamento della prostituzione o traffico di esseri umani indipendentemente dal fatto che le sex worker abbiano o meno un contratto o che si trovino legalmente nel paese o meno».

– Leggi anche: L’incontro nazionale per i diritti delle sex worker a Bologna