A Taiwan è morta quella che si ritiene fosse l’ultima donna taiwanese sopravvissuta alla schiavitù sessuale praticata dall’esercito giapponese a metà Novecento

Taiwan
Un memoriale dedicato alle “donne di conforto” a Taipei, Taiwan, il 14 agosto del 2015 (AP Photo/ Wally Santana)

A Taiwan è morta quella che si ritiene fosse l’ultima donna taiwanese sopravvissuta alla schiavitù sessuale praticata dall’esercito giapponese nei territori che il Giappone occupò tra la fine dell’Ottocento e il Novecento. La notizia della morte della donna, che non voleva si sapesse il suo nome, è stata data dalla Fondazione per il soccorso delle donne di Taipei, un’organizzazione non profit che lotta contro la schiavitù sessuale a Taiwan: aveva 92 anni ed è morta lo scorso 10 maggio.

Si stima che tra il 1932 e il 1945 circa 200mila persone fossero state reclutate a volte con la forza e altre con l’inganno per servire l’esercito giapponese come prostitute sia a Taiwan che negli altri territori occupati dal Giappone, tra cui Corea, Cina, Indonesia e Filippine. I giapponesi si riferivano a queste persone usando il termine ianfu, che si può tradurre come “donne di conforto”: la fondazione ha calcolato che quelle abusate a Taiwan, occupata dal Giappone dal 1895 al 1945, fossero in totale circa 2mila. Negli anni, grazie all’istituzione di una linea di aiuto telefonico, l’associazione ne aveva trovate e aiutate 59.

La questione delle “donne di conforto” è stata un motivo di grandi tensioni tra il Giappone e i paesi al tempo occupati. Secondo i critici il governo giapponese non si è mai preso la piena responsabilità per quei fatti: a Taiwan le associazioni femministe stanno continuando a fare pressioni affinché le loro famiglie ricevano le scuse ufficiali e una forma di compensazione da parte del Giappone, come è accaduto per la Corea del Sud.

Nel 2015 l’allora ministro degli Esteri giapponese Fumio Kishida (l’attuale primo ministro) si scusò per il modo in cui al tempo erano state trattate queste donne. Poche settimane dopo tuttavia il primo ministro Shinzo Abe sembrò minimizzare la vicenda, dicendo in parlamento che non esistevano documenti che attestassero che i militari giapponesi avessero costretto queste donne a prostituirsi.

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