La borsa di Milano sta perdendo pezzi

Molte grandi aziende la stanno lasciando e se ne quotano poche: c'entrano fattori culturali e regole complicate

La statua in piazza degli Affari a Milano, dove si trova la sede della borsa italiana (LaPresse - Claudio Furlan)
La statua in piazza degli Affari a Milano, dove si trova la sede della borsa italiana (LaPresse - Claudio Furlan)
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Solo nel 2022 hanno lasciato la borsa di Milano 23 aziende, tra cui alcune storiche e molto grandi, come Atlantia, il gruppo finanziario che possedeva Autostrade per l’Italia, Exor, la holding della famiglia Agnelli, e Cattolica Assicurazioni. Da tempo la borsa di Milano – quella di riferimento in Italia e conosciuta anche come Piazza Affari, dal nome della piazza in cui si trova la sede – è sempre meno rilevante a confronto con i mercati finanziari degli altri paesi. Molte grandi società la lasciano – nel senso che o smettono di essere quotate in borsa o vanno a quotarsi altrove – e poche si quotano, per di più di piccole dimensioni. Il risultato è che nell’arco di vent’anni c’è stato un consistente deflusso di aziende rilevanti e capitali dalla borsa di Milano.

Alla fine del 2022 alla borsa di Milano erano quotate 501 aziende, 7 in più rispetto al 2021, ma il valore complessivo – ossia la capitalizzazione di mercato di tutte le aziende quotate sommato assieme – è sceso del 18 per cento: nel 2021 il valore di mercato era di 769 miliardi di euro, il 43 per cento del PIL italiano, mentre a fine 2022 era pari a 625 miliardi, il 34 per cento del PIL italiano.

Nel giro di un anno la borsa ha perso oltre 140 miliardi di capitali, sia perché ha risentito dell’andamento negativo della finanza che c’è stato un po’ ovunque sia perché hanno lasciato Piazza Affari alcune grosse società. Non è un problema di oggi: la borsa italiana da sempre ha una capitalizzazione molto inferiore a quella delle altre borse europee.

Capitalizzazione delle borse di Milano, Parigi e Londra. Fonte Reuters

I motivi per cui la borsa di Milano è meno attrattiva sono vari e legati non solo alle caratteristiche delle aziende in Italia, che sono mediamente piccole e che preferiscono non quotarsi per affidarsi invece ai finanziamenti delle banche, ma anche a una regolamentazione piuttosto complessa che rende le quotazioni complicate e costose. Il mancato sviluppo di una piazza finanziaria fiorente e attrattiva è un problema per il sistema economico italiano, che non può contare su uno degli strumenti che consente alle aziende di crescere e svilupparsi.

Le borse – in gergo più tecnico i mercati finanziari o dei capitali – sono il luogo in cui si incontrano due esigenze: quella delle aziende di raccogliere prestiti e capitali e quella di chi vuole investire i propri soldi di poterlo fare in sicurezza. Le aziende emettono azioni e obbligazioni e gli investitori le comprano: a fronte di denaro da parte degli investitori le aziende emettono dei titoli con cui si impegnano o a restituirlo, nel caso delle obbligazioni, o a dare una quota della società, nel caso delle azioni. Gli investitori possono poi facilmente rivendere i titoli in loro possesso ad altri investitori sempre sui mercati finanziari.

Semplificando molto, quotarsi in borsa è un modo per un’azienda di raccogliere fondi e per gli investitori di prestarli. Potrebbero farlo anche in altro modo: un investitore potrebbe comprare le quote di una società o prestarle denaro con un semplice contratto davanti a un notaio. Facendolo sui mercati finanziari regolamentati possono però farlo in modo veloce, sotto il controllo delle autorità di vigilanza e sottoposti a regolamentazioni anti frode e anti riciclaggio. Per esempio, le società quotate in borsa che vendono i loro titoli devono fornire agli investitori informazioni molto dettagliate sullo stato dei loro bilanci, in modo che questi possano fare scelte informate e consapevoli. E questo è un notevole vantaggio per gli investitori.

Il vantaggio per le aziende è quello di avere accesso facilmente ai capitali necessari a espandersi e a crescere. L’alternativa è cercare azionisti o rivolgersi al credito bancario, che però è molto più rigido e dove ci sono più lungaggini burocratiche.

In Italia, per fattori principalmente culturali, le aziende si affidano ancora molto di più alle banche e agli intermediari finanziari che ai mercati finanziari. Un motivo è che la maggior parte delle società in Italia è di media o piccola dimensione, il che rende piuttosto costosa la quotazione in borsa: i benefici di essere quotate sono legati soprattutto alla facilità di ottenere denaro, ma a questo corrispondono alti costi in termini di rispetto di rigide normative a tutela del risparmio e in termini di trasparenza dei conti e delle informazioni.

Per esempio, un’azienda che si quota in borsa dovrà pagare una commissione annuale alla società che gestisce la borsa, dovrà pagare consulenti, investire in un sistema di reportistica per produrre tutta la documentazione contabile che richiedono le normative sulla trasparenza e così via, tutti costi che non sono necessari se ci si limita ai rapporti con le banche.