L'arrivo in Cina dell'ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou (Ma Ying-jeou Office via AP)

Chi a Taiwan vuole la riunificazione con la Cina

È una minoranza piccola ma rumorosa, e se ne riparla dopo la storica visita nella Cina continentale dell'ex presidente taiwanese

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Lunedì Ma Ying-jeou, che tra il 2008 e il 2016 è stato presidente di Taiwan (ufficialmente nota come Repubblica di Cina), è atterrato a Shanghai con un’ampia delegazione per un viaggio di 12 giorni attraverso diverse città cinesi, nel corso del quale potrebbe incontrare alcuni importanti dignitari del Partito comunista. La visita è stata definita per molti versi storica: è la prima volta dal 1949 (cioè da quando Taiwan ha iniziato a governarsi in maniera di fatto indipendente) che un ex presidente taiwanese è in visita nella Cina continentale. Arriva anche in un momento molto singolare, perché mercoledì la presidente taiwanese Tsai Ing-wen farà un altrettanto importante viaggio negli Stati Uniti.

L’ex presidente Ma Ying-jeou è un membro di spicco del Kuomintang, il partito nazionalista che si rifugiò a Taiwan dopo la sconfitta subita dai comunisti di Mao Zedong e che oggi (seppur in modo molto diverso dal passato) sostiene la necessità di mantenere rapporti stretti o per lo meno amichevoli con la Repubblica Popolare, cioè con la Cina continentale guidata dal Partito comunista.

I viaggi di presidente ed ex presidente, appartenenti a due partiti opposti e con opinioni divergenti sui rapporti da mantenere con la Cina, sono stati paragonati l’uno all’altro e sono stati molto commentati a Taiwan, dove le opinioni sui rapporti da tenere con la Cina sono ancora molto polarizzate, tanto da dividere la sfera politica in due: da una parte c’è uno schieramento indipendentista che desidera difendere e rafforzare il distacco dalla Repubblica Popolare, mentre dall’altra c’è lo schieramento nazionalista che vuole mantenere i legami con la Cina.

C’è poi una fazione minoritaria ma molto rumorosa che nella politica e sui media chiede la riunificazione dell’isola alla Cina: questa fazione è al centro di grosse polemiche ed è sospettata di far parte di operazioni di influenza che il Partito comunista cinese starebbe mettendo in atto a Taiwan.

Le polemiche sul viaggio in Cina
Nell’attuale contesto di tensione internazionale attorno allo stretto di Taiwan che divide l’isola dalla Cina, il viaggio dell’ex presidente Ma ha suscitato numerose polemiche. Il governo di Pechino non riconosce la sovranità della Repubblica di Cina su Taiwan (non a caso durante la visita Ma sarà chiamato “signor Ma” e non “ex presidente”), la quale invece è ritenuta una semplice provincia ribelle della Repubblica Popolare che un giorno andrà riunificata alla madrepatria: preferibilmente in modo pacifico ma se necessario anche con la forza. Dal canto suo invece, almeno dal punto di vista formale, quello di Taiwan si considera ancora il governo legittimo di tutta la Cina. Nei fatti si tratta di una finzione legale e nessuno nutre l’illusione che Taiwan un giorno possa tornare a governare la parte continentale del paese. Di fatto però, Cina e Taiwan esistono oggi come entità separate.

Il motivo principale delle polemiche di questi giorni è il timore che Ma possa amplificare i tentativi d’influenza cinese su Taiwan. Gli indipendentisti taiwanesi, attualmente al governo, ha accusato Ma di contribuire con il proprio viaggio alla campagna di pressione e intimidazione contro Taiwan. «È del tutto impensabile che Ma faccia una visita del genere», ha detto il portavoce del Partito Progressista Democratico, che è la formazione politica indipendentista a cui appartiene l’attuale presidente Tsai Ing-wen e alla quale fanno riferimento tutti coloro che sostengono che Taiwan debba procedere verso una separazione formale dalla Cina.

Le spinte verso l’unificazione
L’intera vita politica, economica, sociale e culturale di Taiwan è definita in buona parte dai rapporti con la Repubblica Popolare. Mentre una parte della popolazione rifiuta qualsiasi associazione con la Cina continentale, ce n’è un’altra che pur ritenendosi taiwanese riconosce anche la propria identità cinese. Per etnia, lingua e tradizioni culturali gli abitanti di Taiwan non sono molto dissimili dai cinesi che abitano nelle province al di là dello stretto: una parte della popolazione di Taiwan è discendente dei cinesi che scapparono sull’isola dopo la sconfitta del 1949 e la maggior parte della popolazione è comunque di etnia Han, la stessa che è di gran lunga maggioritaria anche nella Cina continentale.

Benché negli anni sia aumentata la percentuale di coloro che desiderano una netta separazione rispetto alla Cina continentale, l’indipendenza appunto, sull’isola esiste ancora una nutrita minoranza che ritiene che l’unificazione vada perseguita. Secondo i sondaggi circa il 5-10 per cento della popolazione taiwanese è a favore di questa opzione.

Il Kuomintang ha abbandonato ormai da tempo questa prospettiva ed è oggi un partito dello status quo, altri gruppi invece continuano a promuovere la “riunificazione” con la Cina. Si tratta di formazioni molto piccole ma estremamente visibili nella politica taiwanese, nota per essere estremamente combattiva. Uno di questi si chiama Partito per la Promozione dell’Unificazione Cinese (PPUC) ed è guidato da Chang An-lo, un personaggio dal passato molto complicato. Chang, prima di reinventarsi come politico a sostegno della riunificazione, era un noto boss della criminalità organizzata locale. Dopo una lunga carriera malavitosa Chang è passato alla politica a inizio anni 2000, quando per la prima volta a Taiwan si è instaurato un governo indipendentista.

A fianco dei partiti politici pro-unificazione, molti dei quali negli anni sono stati più volte sospettati di essere finanziati direttamente dalla Cina per via delle loro ingenti risorse economiche, a Taiwan esiste anche un ecosistema di media molto rumorosi nella promozione della causa della riunificazione. Uno dei più noti è la rete CTi TV, il cui canale televisivo all-news è stato messo fuori onda nel 2020. In precedenza l’emittente era stata multata numerose volte per aver diffuso notizie inaccurate e il funzionario governativo che aveva deciso di revocarne la licenza aveva detto che il canale era suscettibile a influenze esterne, senza tuttavia menzionare direttamente la Cina. Oggi CTi TV manda in onda i propri programmi di informazione su YouTube e su altre piattaforme digitali, mentre altri canali della rete sono ancora visibili in TV.

Disinformazione e propaganda
Come raccontato in un’inchiesta di Reuters pubblicata qualche anno fa, le autorità cinesi in passato hanno pagato diversi editori taiwanesi per pubblicare notizie che mettessero in buona luce il governo cinese e che, per contrapposizione, screditassero le capacità di quello taiwanese. L’offensiva psicologica per plasmare il dibattito pubblico e la percezione della popolazione taiwanese sono un elemento sempre più centrale nella strategia cinese. Le operazioni per influenzare l’opinione pubblica dell’isola sono diventate un argomento molto controverso e di assoluta priorità a partire dal 2016, quando è stata eletta l’attuale presidente indipendentista Tsai Ing-wen.

Contro la disinformazione e la propaganda cinese il governo di Taiwan negli ultimi anni ha quindi approvato una legislazione sulle infiltrazioni esterne. La legge dovrebbe proteggere il normale svolgimento della vita democratica taiwanese dalle interferenze cinesi, soprattutto nell’ambito dell’informazione. Ma la strategia della Cina si è adattata e negli ultimi anni è ricorsa a nuovi canali per influenzare la società civile dell’isola. Come spiegato da Lorenzo Lamperti, giornalista residente a Taipei, i social media e in particolare gli influencer stanno emergendo sempre di più come nuove armi propagandistiche usate dalla Cina.

Per questo motivo, la visita di Ma ha suscitato tante reazioni a Taiwan. Benché l’ex presidente abbia detto che il suo viaggio in Cina è di natura non politica, la sua concomitanza con la visita di Tsai negli Stati Uniti rischia di confondere le acque. Come detto da un parlamentare del Partito Progressista Democratico, «la Cina ovviamente vuole creare l’impressione che mentre la presidente Tsai sta conducendo un’importante visita negli Stati Uniti, un ex presidente di Taiwan sta facendo un viaggio senza precedenti nella Cina continentale». A Taiwan nei giorni scorsi si è parlato più del viaggio di Ma che di quello di Tsai, che dovrebbe fermarsi a New York e Los Angeles per quelli che formalmente sono solo scali aerei nel viaggio verso Guatemala e Belize, due degli ultimi 13 paesi al mondo a riconoscere la legittimità del governo di Taiwan.

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