L’incendio della biblioteca di Alessandria fu davvero un disastro?

Non sappiamo cosa successe né quante opere furono distrutte, ma ci sono ragioni per ridimensionare la gravità della perdita

Il faro di Alessandria d'Egitto con il molo nel videogioco “Assassin's Creed: Origins” (Martin Deschambault/Ubisoft)
Il faro di Alessandria d'Egitto con il molo nel videogioco “Assassin's Creed: Origins” (Martin Deschambault/Ubisoft)

Si dice spesso che la biblioteca di Alessandria d’Egitto fosse la più grande e fornita dell’antichità. Secondo un persistente mito che la accompagna ancora oggi, la biblioteca custodiva la totalità delle conoscenze dell’epoca, e quindi l’incendio che la distrusse senza lasciare alcuna traccia fu disastroso per il progresso culturale delle civiltà del Mediterraneo. In realtà si tratta di un mito perlomeno esagerato, perché le cose che sappiamo sulla biblioteca di Alessandria sono pochissime: non si sa con precisione quando sia avvenuto l’incendio (o gli incendi) che l’avrebbe distrutta, né quanti fossero i rotoli di pergamena o papiri che andarono perduti.

La biblioteca di Alessandria venne costruita probabilmente intorno al terzo secolo avanti Cristo, durante il Regno tolemaico d’Egitto. Tolomeo era un generale macedone che combatté insieme ad Alessandro Magno e che nel 305 a.C. si dichiarò re di un vasto territorio che comprendeva l’odierno Egitto e la Cirenaica (Libia). Per circa tre secoli la sua dinastia, i Tolomei, governò l’Egitto ispirandosi esplicitamente agli antichi faraoni e stabilendo la capitale ad Alessandria, rendendola una delle città più dinamiche e ricche di quell’epoca, conosciuta come età ellenistica.

L’idea di costruire una grande biblioteca venne ad Alessandro Magno, che la pensò in grande com’era nel suo stile. Tolomeo la mise in pratica con l’ambizioso obiettivo di raccogliere tutta la conoscenza del mondo, perciò vennero mandati emissari a raccogliere manoscritti in giro per il mondo conosciuto, a copiarli e riportarli ad Alessandria. Questo è probabilmente l’aspetto che più di altri ha contribuito ad alimentare il mito della biblioteca: l’idea che fosse la più grande fonte di conoscenza dei popoli che vivevano in Europa e nell’area del Mediterraneo.

Non essendoci tracce della biblioteca, però, è difficile stabilire come sia stata distrutta, anche perché le fonti storiche al riguardo sono scarse e incomplete. In molti ritengono che fu l’incendio del 48 a.C., causato da Cesare durante la sua spedizione contro il rivale Pompeo, a bruciarla completamente, ma ci sono riferimenti anche successivi a quella data. Alcune fonti parlano di altri incendi anche nei secoli successivi, fino al 642, ma nessuna individua con nettezza un momento o un evento che segnò la distruzione della biblioteca, ed è più probabile che le vere cause siano state altre.

Una delle ipotesi più accreditate è che la biblioteca, alla fine, non venne distrutta da un incendio ma più semplicemente attraversò un lungo periodo di decadenza, crisi economica e malagestione che portarono alla sua scomparsa.

Peter Gainsford, studioso neozelandese dell’età classica e autore del blog Kiwi Hellenist, ha messo insieme in un articolo alcuni elementi di contesto che aiutano a ridimensionare ulteriormente la portata dell’incendio della biblioteca di Alessandria, se mai ci fu: tra le altre cose perché di biblioteche ce n’erano anche molte altre, sia in Egitto che dall’altra parte del Mediterraneo.

Gainsford spiega che nell’Egitto ellenistico c’era un fiorente commercio di libri che riguardava molte città, non solo Alessandria. C’erano biblioteche in tutto il regno e anche a Roma, ad Atene, a Pergamo e in altre città minori. Insomma, non tutta la cultura passava per la capitale egiziana. Scrive Gainsford: «I libri antichi che sono sopravvissuti fino a oggi attraverso la tradizione medievale non sono quelli che vennero salvati dalle fiamme della biblioteca di Alessandria. Sono quelli che furono copiati e che poterono sopravvivere ai vari cambiamenti di formato avvenuti nei secoli».

Nella storia ci furono vari autori che tramandarono il mito della biblioteca di Alessandria con varie sfumature. Seneca scrisse nel De tranquillitate animi (60 d.C.) che decine di migliaia di libri sono più uno sfoggio che un omaggio alla cultura: «A che scopo innumerevoli libri e biblioteche, il cui proprietario in tutta la sua vita a stento arriva a leggere per intero i cataloghi?». Nel Medioevo poi si diffuse una leggenda secondo cui a incendiare la biblioteca fu il califfo Omar durante la conquista islamica dell’Egitto, e nei secoli successivi scrissero della biblioteca anche Boccaccio e Richard de Bury, rammaricandosi della sua distruzione.

In uno dei colossal più famosi della storia del cinema, Cleopatra del 1963, viene rappresentata la distruzione della biblioteca in una scena in cui l’astronomo Sosigene si dispera per la perdita dei testi di Platone, Aristotele, e persino dell’Antico Testamento della Bibbia. Ovviamente sia la Bibbia che le opere dei filosofi greci non andarono distrutti con l’incendio del 48 a.C.

Secondo Gainsford, a distorcere definitivamente il mito della biblioteca di Alessandria fu l’astronomo e il divulgatore scientifico statunitense Carl Sagan. Durante una puntata della celebre serie Cosmos, andata in onda nel 1980, Sagan paragonò l’incendio della biblioteca a una perdita di memoria collettiva:

È come se un’intera civiltà sia stata sottoposta a una sorta di chirurgia cerebrale autoinflitta, in modo che la gran parte dei suoi ricordi, scoperte, idee e passioni venisse irrevocabilmente spazzata via. Il danno fu incalcolabile. In alcuni casi, sappiamo solo i titoli seducenti dei libri che furono distrutti.

Gainsford scrive che Sagan inventò di fatto un mito in pochi minuti di trasmissione, e senza avere basi solide con cui sostenerlo. Se conosciamo i titoli di alcune opere che erano nella biblioteca e andarono perdute è perché qualche studioso dell’antichità le ha menzionate dopo averne letto ad Alessandria ma anche in altre biblioteche, e spesso in epoche successive all’incendio del 48 a.C. Ricondurre tutto a quell’incendio, quindi, attribuendogli un significato di questa portata, è molto probabilmente un’esagerazione: «È una pura follia immaginare che esistesse un’unica copia di un qualsiasi libro in tutto il mondo» scrive Gainsford. «E anche se fosse, allora quel libro era già spacciato, perché nessuna biblioteca antica è sopravvissuta fino a oggi».