Il primo ministro del Pakistan Imran Khan (AP Photo/Rahmat Gul)

La crisi politica in Pakistan, dall’inizio

È iniziata settimane fa e ha al centro il primo ministro Imran Khan, che ora potrebbe essere sfiduciato dal parlamento

In Pakistan va avanti da settimane una grossa crisi politica, culminata nei giorni scorsi con la presentazione di una mozione di sfiducia contro il primo ministro Imran Khan. Lo scorso fine settimana, Khan aveva tentato di sciogliere il parlamento e convocare nuove elezioni, con una mossa che giovedì la Corte Suprema del Pakistan ha dichiarato illegale. Il vicepresidente del parlamento, dello stesso partito di Khan, aveva inoltre bloccato il voto sulla mozione di sfiducia, decisione che l’opposizione aveva definito «incostituzionale». Con l’intervento della Corte, tuttavia, il parlamento è stato obbligato a riunirsi nuovamente oggi, sabato 9 aprile, e a mettere in programma il voto sulla mozione di sfiducia.

La crisi in corso è molto legata alla figura del primo ministro: sia ai suoi fallimenti sul piano politico (o percepiti tali), sia alla perdita del sostegno dell’esercito pakistano, molto potente e anche assai influente nella vita politica del paese.

Imran Khan, ex campione di cricket laureato a Oxford, è primo ministro del Pakistan dal 2018: fu eletto col partito nazionalista e populista Movimento per la Giustizia del Pakistan, dopo avere promesso tra le altre cose di combattere la corruzione, la povertà e di risollevare l’economia, già allora molto in difficoltà.

Nel corso del suo mandato, le cose non sono andate come aveva sperato: l’economia è rimasta in grande difficoltà, con livelli d’inflazione tra i più alti dei paesi della stessa regione, il livello di disoccupazione, inizialmente calato, è cresciuto, e Khan non sembra aver ottenuto buoni risultati neanche per quanto riguarda la lotta alla corruzione. Ha quindi progressivamente perso sostegno politico: ci sono state proteste e la sua popolarità è calata.

A complicare le cose sembra esserci stata soprattutto la perdita del sostegno dell’esercito, a cui secondo varie analisi Khan deve la sua elezione nel 2018.

In Pakistan, paese in cui ci sono stati vari colpi di stato e governi militari, l’esercito ha una fortissima influenza politica, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza e la politica estera. Il suo sostegno è fondamentale per il governo, in un paese in cui tra l’altro nessun primo ministro è mai riuscito ad arrivare alla fine naturale del proprio mandato.

Con l’esercito, Imran Khan ha avuto scontri di vario tipo, alcuni dei quali legati al progressivo allontanamento del Pakistan dagli Stati Uniti (seppur con molte ambiguità e doppiezze) e all’avvicinamento alla Cina. L’esercito pakistano ha rapporti molto stretti con gli americani, con cui, secondo Michael Kugelman di Foreign Policy, potrebbe voler continuare a collaborare per contrastare l’estremismo islamico nell’area (che la vittoria dei talebani nel vicino Afghanistan ha contribuito a fomentare). Il capo dell’esercito pakistano, Qamar Javed Bajwa, ha fatto capire anche nel mezzo di questa crisi di non avere alcuna intenzione di intaccare i propri rapporti con gli Stati Uniti.

La perdita di consensi di Khan aveva spinto alcuni parlamentari del suo stesso partito a esprimersi a favore della mozione di sfiducia presentata in parlamento e poi bloccata.

Khan aveva reagito dicendo di essere «vittima di un complotto americano», riferendosi in particolare a uno scambio privato tra un funzionario del governo americano e l’ambasciatore pakistano negli Stati Uniti, Asad Majeed Khan: il funzionario statunitense avrebbe espresso insoddisfazione nei confronti del primo ministro pakistano e avrebbe detto che le relazioni tra Stati Uniti e Pakistan sarebbero migliorate se Khan fosse stato rimosso con un voto di sfiducia.

Su queste basi il vicepresidente del parlamento, Qasim Suri, dello stesso partito di Khan, aveva bloccato la votazione: Suri aveva citato «interferenze estere» nella politica interna del paese e detto che la votazione sarebbe stata incostituzionale perché violava l’articolo 5 della Costituzione pakistana, quello che dice che la lealtà allo stato è un dovere di ogni cittadino. Poco dopo, Khan aveva chiesto al presidente pakistano Arif Alvi di sciogliere il parlamento e convocare elezioni anticipate, cosa che il presidente aveva fatto. La Corte Suprema ha poi ribaltato queste decisioni.

Oggi, quindi, al parlamento pakistano si terrà il voto sulla fiducia del governo che Khan ha cercato in tutti i modi di evitare. Per la sfiducia servono almeno 172 voti su 342 totali: è probabile che vengano raggiunti, anche perché il partito di Khan ha perso la maggioranza in parlamento. Se succederà, l’opposizione potrà nominare un nuovo primo ministro – probabilmente Shehbaz Sharif, il leader dell’opposizione – che governi fino alle prossime elezioni previste per agosto del 2023.

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