Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki e il primo ministro ungherese Viktor Orban, Katowice, 30 giugno 2021 (Omar Marques/Getty Images)

La Corte europea ha dato torto a Polonia e Ungheria sullo stato di diritto

E ha confermato il meccanismo che lega l'erogazione dei fondi europei al rispetto degli standard democratici

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha respinto il ricorso che Ungheria e Polonia avevano presentato contro il nuovo meccanismo che lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto. Ungheria e Polonia sono due stati a guida semi-autoritaria che da anni si oppongono a controlli più stringenti sui fondi europei, che ricevono in quantità ingente e utilizzano per rafforzare il controllo sull’economia e la politica da parte della propria classe dirigente.

L’introduzione di questo meccanismo, che blocca tra le altre cose l’accesso ai soldi del Recovery Fund, era stata decisa dall’Unione Europea per contrastare le ripetute violazioni dello stato di diritto in diversi paesi membri (soprattutto Ungheria e Polonia, ma anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania).

Il meccanismo, approvato alla fine del 2020, non era però stato ancora attivato: la Commissione Europea aveva esplicitamente detto che avrebbe aspettato la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il tribunale che si occupa di dirimere le questioni che riguardano le norme europee, su un ricorso presentato proprio da Polonia e Ungheria.

Gli esperti di stato di diritto, le principali organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e le autorità indipendenti dell’Unione Europea concordano che diversi paesi membri – soprattutto Ungheria e Polonia, ma anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania – abbiano problemi enormi nel rispettare l’indipendenza della magistratura e dei tribunali, nel garantire la trasparenza riguardo alle misure prese dal governo, e nel proteggere i diritti di minoranze e oppositori politici. Prima dell’approvazione della norma sui fondi, però, le misure prese dall’Unione si erano dimostrate inefficaci: i trattati europei non avevano previsto che uno o più paesi potessero assumere una guida semi-autoritaria una volta entrati nell’Unione Europea.

La sentenza della Corte potrebbe consentire alla Commissione Europea di avviare le procedure per il blocco dei fondi nel giro di poche settimane.

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