Una canzone dei 10,000 Maniacs

E ognuno con i pensieri sulla propria adolescenza

(Peter Kramer/Getty Images)
(Peter Kramer/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Adele ha fatto cambiare il modo in cui Spotify riproduce gli album.
Il New York Times ha pubblicato un articolo sull’insicuro rapporto d’amore che molti residenti hanno con Los Angeles, a partire dalla canzone di Randy Newman che come molte canzoni di Randy Newman sta in equilibrio continuo tra l’ironia sarcastica e la simpatia compassionevole: I love LA.
C’è una canzone nuova di Eddie Vedder, bella (che inizia che sembra dei Crash test dummies, no?).
Stamattina, attraversando il traffico milanese all’alba dopo una partenza antelucana da Pescara, ho sentito alla radio Extraterrestre di Finardi: di solito le radio ripescano Musica ribelle, per maggior sintonia col testo, ma Extraterrestre – ho pensato – era proprio un gran pezzo, bello sia per la storia bowiesca ma con una sua originalità, che per l’arrangiamento e i suoni, di gran musicisti (poi a me quel gorgheggiar delle vocali non è mai andato giù, ma meglio lui di Pelù o Carmen Consoli).
È morto Paolo Pietrangeli, uno che la sapeva lunga e che scrisse Contessa, gran canzone “di protesta” ma anche gran canzone per scrittura musicale, che riempie i polmoni a cantarla, e rende indulgenti verso la violenza del testo: erano tempi.

How you’ve grown
10,000 Maniacs

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Qui eravamo nell’autunno del 1992, ventinove anni fa, l’ultimo disco dei 10,000 Maniacs (tentausanmèniacs) con Natalie Merchant come cantante. Di lei avevamo parlato qui, e non mi trattengo oltre, che se no dopo Contessa mi commuovo troppo. In quel disco c’erano cose molto belle, e mi ero messo da parte questa per la newsletter, e poi ieri pomeriggio a Pescara abbiamo fatto una conversazione pubblica con Alessandro Zan (con qualche amichevole dissenso sulle pratiche parlamentari) e lui a un certo punto ha raccontato, come dice nel suo libro, di “essersi perso l’adolescenza” perché la sua adolescenza fu occupata tutta dalla sofferenza opprimente di non poter dire e vivere quello che si sentiva, e dalla paura, e che per lui quel periodo incasinato ed emozionante nelle vite della maggior parte di noi fu quasi sempre solo doloroso e spaventato.

“My, how you’ve grown”
I remember that phrase from my childhood days too.
“Just wait and see”
I remember those words and how they chided me, when patient was the hardest thing to be.
Because we can’t make up for the time that we’ve lost, I must let these memories provide.
No little girl can stop her world to wait for me.

E poi mi stavo imbarcando qui in pensieri sull’adolescenza e sui tormenti e sfinimenti che in altre misure minori – non perdiamo il senso delle proporzioni – infligge a quasi tutti: ma appunto, ognuno ha avuto le sue, imparagonabili, e stasera vi lascio con le vostre; e quelli di voi che ci sono dentro sappiano che poi va quasi sempre meglio.

Every time we say goodbye you’re frozen in my mind as a child that you never will be, will be again.

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