Una canzone del Contemporary gospel chorus

Da un film con un titolo fortunato (o sfortunato)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Ne parlammo assai allora, un anno e mezzo fa, poi il tempo passa e ci si dimentica ma metto a verbale che i criteri di rimpiazzo e rimborso dei biglietti dei concerti annullati durante la pandemia sono rimasti molto truffaldini, e che tutta la giusta retorica sul difendere i lavoratori della musica smette di convincermi quando si arriva a parlare delle società che vendono i biglietti (che mi ricordano i modi con cui i giornali che non sono il Post trattano chi vuole cancellare gli abbonamenti).
È morto Paddy Moloney, fondatore dei Chieftains, band leggendaria di folk irlandese.
Per festeggiare i vent’anni dall’uscita del loro pezzo meritatamente più famoso la band scozzese dei Travis ha pubblicato un video sul “making of” di quel video.
C’è un trailer nuovo di Get back, la “docuserie” di Peter Jackson sui Beatles piena di materiali che si annunciano fantastici e che sarà su Disney+ a fine novembre.
Un secolo fa era nato Ivi Livie qui fa il suo classico (non suo ma suo) all’età giusta.

Never alone
Contemporary gospel chorus

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La la land è stato prezioso: per quanto datato potesse sembrare il formato del musical al cinema, non solo ha mostrato che si poteva fare ancora e molto bene, ma anche quanto funzioni ancora quel meccanismo lì della potenza che assumono le canzonette associate a una storia e delle immagini. Dopo, un sentimento piacevole ti raggiunge ogni volta che la senti, la canzonetta, e la associ a quella scena, a quel film, a volte anche a quel periodo della tua vita. E per quanto riguarda me, La la land ha anche smentito il mio timore che quelle sensazioni siano tutte di tempi passati, quando si è giovani e ci si emoziona di più.
Oppure sono già nella fase in cui si è vecchi e ci si commuove sempre.

Anyway.
C’era questo film, che fu piuttosto popolare tra gli adolescenti di mezzo mondo al tempo (uscì nel 1980), e che ha lasciato da noi una scia drammatica: dell’invenzione per una volta buona del traduttore dei titoli in italiano si impossessò una trasmissione televisiva di successo (la cui conduttrice era la stessa del programma che ha fatto strage di quella meraviglia di Love theme di Barry White), e ormai quel titolo lì è quella cosa lì, qui. Il film si chiamava Saranno famosi (Fame, in originale), aveva cose buone e cose deboli, non era paragonabile ai più grandi musical coevi (Hair, di cui abbiamo appena parlato, i Blues BrothersGrease), il regista era uno bravo che si chiamava Alan Parker che è morto l’anno scorso.

La storia era benintenzionata ma eseguita così e così, e alla fine le sue cose migliori erano le scene delle performance di gruppo (quella stradale è imitata nell’incipit di La la land) e le canzoni corali: quella finale spettacolare che riprende il titolo di una poesia di Walt Whitman, e quella accennata brevemente nel film ma che è un gran pezzo gospel travolgente, Never alone (elaborazione di un inno cristiano ottocentesco). E in cui c’è un gran clapping di hands a tener su tutto.

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