(Samir Hussein/Getty Images)

Una canzone dei Verve

Una bella, ma anche una insopportabile

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Comunque, se c’è una grande lezione dei traslochi rispetto ai dischi accumulati non l’ho ancora capita: ho fatto bene a comprare tutti questi vinili perché un giorno sarebbero stati riconsiderati universalmente una bellezza e avrebbero fatto bella mostra di sé in giro per casa pur occupando dei volumi problematici, o ho fatto male a comprare tutti questi cd perché un giorno sarebbero finiti in otto scatoloni e parcheggiati di cantina in cantina, in nome della loro decadenza sociale ed estetica? O entrambe le cose sono corrette?
(Per non dire dei 45 giri).
Proprio ora che avevo imparato a distinguere Britney Spears e Christina Aguilera, Christina Aguilera ha scritto una cosa per difendere Britney Spears, nelle note vicende.
Sabato era morto Jon Hassell, trombettista di grande inventiva e lungo curriculum.

Sonnet
The Verve

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C’è una cosa che è difficile perdonare ai Verve, band di una tardiva british invasion negli anni Novanta, che si fece adorare per alcune canzoni effettivamente speciali: ed è quella insopportabile nenia retorica che si chiamò The drugs don’t work: benché le interpretazioni sul suo testo siano state varie (la morte del padre, l’allusione al fatto che le droghe non funzionino ma qualcosa diano), quella che è più passata è quella letterale “le droghe non funzionano, e ti fanno stare peggio”, degna della più inutile delle pubblicità progresso (oppure di un incipit di Beppe Grillo di oggi) e con un passaggio melodico su “now the drugs don’t work” davvero povero.

Ma detto questo – che è molto opinabile e opinato: quella canzone è assai celebrata – altre volte le loro canzoni sono state appunto meno povere e ruffiane, a cominciare da quella più famosa di tutte, Bitter sweet symphony, e dai suoi archi travolgenti. In quel loro disco del 1997 con cui fecero il botto mondiale prima di sciogliersi (si ripresero brevemente dieci anni dopo) c’erano anche Lucky man e Sonnet, con questo andamento da ballata anni Settanta di Rod Stewart o Gilbert O’ Sullivan, e il primo verso buttato lì come si srotola un tappeto, “maffrenemmì”.

My friend and me
Looking through her red box of memories
Faded I’m sure
But love seems to stick in her veins you know

E anche quella cosa della rima tra want it e sonnet.

Yes, there’s love if you want it
Don’t sound like no sonnet


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