La consegna di cibo a domicilio sarà mai un buon affare?

Le principali società del mondo che se ne occupano hanno enormi giri di affari, ma non hanno ancora trovato il modo di fare utili

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)

Il 2020, in tutto il mondo, è stato un anno di crescita enorme per tutti i servizi che offrono consegna di cibo a domicilio: anche in Italia, durante la pandemia e i mesi di lockdown, il ricorso alle app più popolari per ordinare pranzi e cene – Deliveroo, JustEat, UberEats per esempio – è cresciuto di oltre il 20 per cento. Ma questo successo per ora non si è tradotto in profitti per le società di consegne. In parte, la difficoltà è dovuta agli investimenti richiesti per fare crescere il giro di affari ed espanderlo a più paesi, in parte però sembrano esserci ancora limiti strutturali al profitto, condivisi da tutte le maggiori società del settore.

Il Wall Street Journal ha analizzato la situazione di due delle più importanti società statunitensi di consegna di pasti a domicilio, UberEats e DoorDash, che insieme controllano l’85 per cento del mercato. Entrambe, nel 2020, hanno avuto il loro migliore anno: il fatturato di DoorDash è quasi quadruplicato rispetto a un anno prima arrivando a 2,8 miliardi di dollari; quello di UberEats è più che raddoppiato, arrivando a 4,8 miliardi di dollari. Anche in un anno così eccezionale per i loro affari, spiega però il Wall Street Journal, le due società non sono riuscite a generare profitti, perdendo invece centinaia di milioni di dollari. Deliveroo, che nel 2020 ha avuto un giro di affari di oltre 5 miliardi di dollari, ha chiuso l’ultimo bilancio con una perdita di 309 milioni di dollari.

I motivi di queste difficoltà, secondo il Wall Street Journal, iniziano dal modello di business di queste società, i cui prodotti sono delle app per ordinare cibo da casa e gestire le consegne. Chi gestisce le app si fa pagare il servizio sia dai ristoratori che dai loro clienti, e con quei soldi deve invece pagare i fattorini (i cosiddetti rider), le spese di gestione (tra cui i rimborsi ai clienti per errori di consegna) e quelle per il marketing. Secondo un’analisi di Deutsche Bank sugli affari di DoorDash, tolte le spese, alla società resta circa il 2,5 per cento del valore di ogni ordine. E secondo il Wall Street Journal DoorDash è la società migliore, da questo punto di vista.

Su questi fronti, però, gli spazi di manovra per le società di consegne non sono enormi. Una possibilità per aumentare i ricavi sarebbe fare pagare di più i ristoranti, ma molti ristoranti trovano già troppo salate le commissioni chieste dalle app (tipicamente intorno al 30 per cento del valore dell’ordine) e superata la pandemia potrebbero decidere di rinunciare alle consegne tramite servizi terzi se i costi dovessero crescere ulteriormente. Alzare i costi per i clienti rischia di rallentare molto la crescita. Nemmeno pagare meno i fattorini sembra essere una possibilità: già ora i rider non sono particolarmente ben pagati e in molti paesi la tendenza dei legislatori sembra quella di andare verso maggiori garanzie per i lavoratori.

Christopher Payne, dirigente di DoorDash, ha spiegato al Wall Street Journal che questi sono i limiti strutturali del mercato delle consegne a domicilio: richiedono molto lavoro e hanno margini di profitto bassissimi. Perché una società possa diventare profittevole serve quindi aumentare molto la scala delle operazioni, fare crescere il valore medio degli ordini consegnati e limitare al minimo gli errori e i costi superflui.

Sia DoorDash che UberEats, per queste ragioni, negli ultimi mesi hanno lavorato molto per introdurre servizi che permettono a chi ordina di fare la spesa da un supermercato: gli ordini di questo genere sono spesso più grandi, le consegne di prodotti che non sono stati appena cucinati sono più facili da programmare e i margini possono essere maggiori. Un altro modo per fare aumentare il valore degli ordini è provare a vendere più prodotti a chi ordina un pasto. Un po’ come quando un cameriere insiste educatamente per proporci un dolce o del vino, le app potrebbero invitarci ad aggiungere prodotti ai nostri ordini.

E poi ci sono i costi di consegna: sia quelli diretti legati al costo del lavoro dei fattorini che quelli indiretti legati a rimborsi per errori nei pasti consegnati. I primi sono generalmente aumentati dai tempi morti che i fattorini hanno quando aspettano una consegna davanti a un ristorante, i secondi dipendono da errori dei ristoranti quando preparano i pacchetti per la consegna. Su entrambi gli aspetti si può intervenire con un’organizzazione migliore del lavoro, che però in larga parte è fuori dal controllo delle piattaforme di consegna.

Un esempio citato dal Wall Street Journal è quello della catena di ristoranti statunitense Cheesecake Factory, i cui dipendenti molto spesso dimenticavano di aggiungere ai loro ordini le fette di cheesecake. Il motivo era banale: quando c’era del cibo caldo nei pacchetti, le fette di torta venivano lasciate fuori fino all’ultimo per evitare che si rovinassero, ma di conseguenza venivano spesso dimenticate. Un avviso ad hoc creato sui sistemi delle piattaforme di consegna ha aiutato a ridurre gli errori, ma non è detto che interventi del genere siano possibili sempre.

Infine, c’è il problema di aumentare il volume di affari raggiungendo nuovi clienti: una cosa difficile da fare senza continuare ad aumentare le spese per la pubblicità e fare crescere nuovamente i costi complessivi. UberEats, per esempio, sta provando a raggiungere nuovi clienti suggerendo di ordinare pasti a chi usa la sua più famosa app di servizio taxi.

Per ora le grandi società di consegne di cibo a domicilio non sembrano preoccupatissime dalle loro grandi perdite: tutte sono concentrate nella crescita e sperano di trovare un equilibrio e fonti di ricavo più stabili nei prossimi anni. In parte questo dipenderà da quanto popolari resteranno i loro servizi dopo la pandemia, sia tra i ristoratori che tra i clienti. Molte app, per evitare di perdere clienti stanno per esempio cercando di diminuire i costi per i ristoratori, dando loro anche la possibilità di gestire indipendentemente le consegne dopo aver ricevuto gli ordini tramite le app. Questo, inoltre, riduce i costi di marketing per chi gestisce le app ed elimina il problema dei rimborsi (è il modello di affari prevalente della società danese JustEat: che infatti è in attivo da molti anni).

Altri esperimenti, invece, puntano a trasformare i clienti occasionali in abbonati che pagano una quota fissa mensile per avere poi sconti sulle consegne. È una strada che stanno provando a seguire molte società – anche Deliveroo, in Italia – e che potrebbe essere promettente: ma di nuovo, il successo di una strategia del genere è legato al numero di persone disposte a pagare per le consegne a casa.