Un soldato ucraino lungo la linea di confine con il Donbass (AP Photo)

Cosa vuole fare la Russia in Ucraina?

Sta ammassando truppe vicino al confine e potrebbe usarle per una nuova guerra, o per capire quanto siano pronti a farla Stati Uniti ed Europa: ma una risposta certa non c'è

Il grande accumulo di truppe e mezzi militari dell’esercito russo non lontano dal confine con l’Ucraina ha spinto molti analisti a chiedersi che intenzioni abbia Vladimir Putin, il presidente della Russia, e se davvero una nuova operazione militare o perfino una nuova guerra in Ucraina siano imminenti. In assenza di informazioni certe, le opinioni sono piuttosto divergenti, e gli analisti si dividono tra chi prevede un intervento militare russo e chi ritiene invece che con la decisione di ammassare truppe al confine la Russia intenda soprattutto mandare un messaggio all’Europa, o alla nuova amministrazione statunitense di Joe Biden.

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Secondo il governo ucraino, nelle ultime settimane la Russia ha ammassato 40 mila soldati non lontano dal confine est dell’Ucraina, e ne ha inviati altri 9 mila in Crimea, la penisola ucraina occupata e annessa dalla Russia, dove già sono dislocati 33 mila soldati. Oltre ai soldati, l’esercito russo starebbe accumulando artiglieria, carri armati e mezzi pesanti.

La maggior parte delle forze militari è ammassata a Voronezh, una città russa che si trova a circa 300 chilometri dal confine con l’Ucraina: non è proprio attaccata al confine ma è comunque un movimento straordinario che costituisce una minaccia per l’Ucraina; anche perché, come ha mostrato il gruppo investigativo Conflict Intelligence Team, le unità militari e i mezzi sono stati fatti arrivare da tutto il paese, perfino dalla lontana Siberia.


La decisione di ammassare truppe vicino al confine è per molti versi inusuale. Nella maggior parte delle operazioni militari russe all’estero degli ultimi anni (compresa quella in Ucraina nel 2014 per l’occupazione e l’annessione della Crimea) il “fattore sorpresa” è sempre stato importante. In Crimea, la Russia inviò centinaia di “piccoli uomini verdi”, cioè membri delle forze speciali che non indossavano uniformi o segni di riconoscimento, e che contribuirono militarmente all’annessione della penisola senza un coinvolgimento ufficiale dell’esercito russo (inizialmente Putin negò che gli “uomini verdi” fossero soldati russi, poi però lo ammise).

Anche negli anni successivi, per aiutare militarmente i territori ucraini separatisti controllati da milizie filorusse nella regione del Donbass, dove si trovano le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, la Russia ha quasi sempre fatto uso di mercenari o comunque di soldati non regolari.

Questa volta, invece, il governo russo non ha negato la presenza di militari non lontano dal confine, anzi: da un lato l’ha rivendicata (Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino, ha detto che la Russia ha il pieno diritto di «muovere le sue forze armate sul proprio territorio a sua discrezione») e dall’altro l’ha usata come strumento di propaganda interna, con servizi televisivi sull’esercito in movimento e molto materiale diffuso sui social.

Queste mosse hanno confuso e preoccupato sia gli analisti sia i governi dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti. Secondo James Sherr, analista del centro studi International center for defence and security, per cercare di capire se una nuova guerra sia davvero possibile bisogna ricostruire gli avvenimenti dell’ultimo anno, durante il quale sono intervenute diverse novità che hanno peggiorato i rapporti tra Russia e Ucraina e portato la Russia a valutare il dispiegamento di truppe militari.

La prima novità è che Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino eletto nell’aprile del 2019, nel corso del 2020 è passato da un atteggiamento remissivo e gregario nei confronti della Russia a uno decisamente più assertivo. Al momento della sua elezione, Zelensky aveva cercato di migliorare il rapporto con la Russia, aveva acconsentito a scambi di prigionieri e nel luglio del 2020 aveva concordato un cessate il fuoco con le milizie filorusse che fu giudicato piuttosto favorevole alla Russia.

Ma negli ultimi mesi l’atteggiamento di Zelensky è cambiato: il presidente ucraino non è certo diventato aggressivo, ma soprattutto sul fronte interno ha colpito diversi interessi russi. In particolare, a febbraio il governo ha sanzionato Viktor Medvedchuk, il leader del principale partito filorusso del paese e amico e alleato di Putin (che è il padrino di sua figlia). Secondo gli analisti, Medvedchuk era l’elemento di collegamento di moltissimi interessi russi in Ucraina, e la sua marginalizzazione dalla scena politica è stata un grave danno per la Russia. Il governo ha inoltre chiuso tre canali televisivi di propaganda filorussa di proprietà di un imprenditore vicino a Medvedchuk.

Ancora negli scorsi giorni, in risposta all’arrivo delle truppe russe, Zelensky ha chiesto all’Occidente di garantire all’Ucraina un ingresso preferenziale nella NATO, che per la Russia sarebbe un grave affronto oltre che un problema per la sua strategia di sicurezza nazionale.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in visita al fronte lo scorso 9 aprile (Ukrainian Presidential Press Office via AP, File)

La seconda importante novità è la presidenza americana di Joe Biden, che appena insediato si è detto pronto a contrastare l’espansionismo russo e ha rinnovato pubblicamente il sostegno degli Stati Uniti al mantenimento della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina. La settimana scorsa gli Stati Uniti hanno inviato due navi da guerra nel Mar Nero per segnalare di essere pronti a intervenire, e martedì Biden ha chiamato Putin al telefono per ribadire il suo sostegno all’Ucraina.

Questi recenti cambiamenti potrebbero aver convinto Putin ad agire prima che l’attuale status quo, favorevole alla Russia, venga modificato.

Si parla di status quo favorevole alla Russia per diverse ragioni. Anzitutto finché un pezzo di Ucraina sarà dominato da separatisti filorussi, l’influenza russa sarà assicurata. L’occupazione rende praticamente impossibile per l’Ucraina entrare nella NATO, perché nel testo del trattato è presente un articolo che prevede l’automatismo di intervenire in difesa di un paese membro in caso di aggressione compiuta da un paese esterno: e nessuno, tanto meno gli Stati Uniti, vogliono essere obbligati a intervenire militarmente per difendere l’Ucraina.

Inoltre il modo in cui si sono svolti i negoziati di pace finora, con il cosiddetto “formato Normandia” a cui partecipano Francia, Germania, Russia e Ucraina, ha consentito alla Russia di presentarsi come potenza mediatrice e non come parte in causa del conflitto, e di ottenere così notevoli vantaggi.

Secondo alcuni analisti, come per esempio Edward Lucas sul Times, Putin sta «mettendo alla prova» l’Occidente, e soprattutto la nuova amministrazione americana, per capire fino a che punto sarebbe pronta a intervenire in difesa dell’Ucraina, e per strappare con la minaccia della violenza nuove concessioni favorevoli. In questa ipotesi, l’accumulo di uomini e mezzi al confine sarebbe soprattutto una dimostrazione di forza che potrebbe non portare necessariamente a un conflitto armato.

Secondo John Herbst del centro studi Atlantic Council, se quello di Putin è un test per Biden allora il presidente americano l’ha passato: anziché mostrarsi disinteressato o timoroso, Biden ha reagito con energia e prontezza, dicendosi pronto a difendere l’Ucraina e attivando la sua amministrazione. Negli ultimi giorni il segretario di Stato, il segretario alla Difesa, il consigliere per la sicurezza nazionale e il capo di Stato maggiore hanno mandato moltissime comunicazioni rassicuranti al governo ucraino e avvertimenti minacciosi a quello russo. Questo potrebbe avere ridotto molto la possibilità che la Russia possa ricorrere all’utilizzo della forza.

Al contrario, i governi europei non sembrano avere passato il test altrettanto efficacemente: hanno sì condannato la Russia e chiesto la rimozione delle truppe dal confine, ma al tempo stesso hanno condannato anche le provocazioni dell’Ucraina, stabilendo così un’equivalenza tra aggressore e aggredito che fa molto gioco a Putin.

Altri analisti ritengono tuttavia che la Russia non si voglia limitare a mettere alla prova l’Occidente. L’assembramento di forze è di gran lunga il più grande dal 2014 e non è un atto isolato: dall’inizio dell’anno gli scontri nell’Ucraina orientale sono aumentati considerevolmente e sono morti 26 soldati ucraini, spesso in agguati di cecchini (in teoria tra le due parti dovrebbe essere in vigore un cessate il fuoco).

Da gennaio la retorica del governo, della propaganda e dei media russi è diventata via via più bellicosa. Margarita Simonyan, la direttrice della rete tv RT, ha detto che la Russia dovrebbe annettere il Donbass. Le televisioni russe da settimane sostengono che l’Ucraina si starebbe preparando a lanciare un attacco contro i cittadini russi nell’Ucraina orientale e Dmitri Kozak, vice capo di gabinetto del Cremlino e uno dei principali responsabili della strategia della Russia in Ucraina, ha detto che se l’Ucraina dovesse cominciare un’escalation militare sarebbe «l’inizio della fine» e la risposta russa sarebbe devastante.

Putin, parlando recentemente con la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha detto perfino che la Russia potrebbe essere costretta a intervenire militarmente per salvare la popolazione filorussa del Donbass da un massacro come quello di Srebrenica, in Bosnia, dove nel 1995 migliaia di civili furono uccisi da milizie serbo-bosniache.

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Non ci sono prove né che l’Ucraina stia organizzando una nuova offensiva né tantomeno che si stia preparando a un massacro etnico. Finora, anzi, il paese è stato piuttosto ligio ai termini del cessate il fuoco firmato l’anno scorso.

Secondo alcuni analisti, la Russia starebbe cercando dunque il pretesto per giustificare un’azione militare. Come ha notato Peter Dickinson, membro dell’Atlantic Council e autore della sezione Ukraine Alert, negli ultimi due anni la Russia ha distribuito 650 mila passaporti russi agli abitanti delle regioni occupate del Donbass, in modo da poter giustificare un’eventuale azione militare come un atto di difesa dei propri concittadini.

L’accumulo di truppe al confine sarebbe quindi una provocazione messa in atto per spingere il governo ucraino a una reazione scomposta e giustificare poi un intervento militare, come successe nel 2008 in Georgia, quando l’allora presidente georgiano Mikheil Saakašvili decise di intervenire nella regione filorussia dell’Ossezia del Sud dopo una lunga serie di provocazioni, dando così il pretesto alla Russia per invadere il paese e giustificare l’offensiva come un atto di difesa dei cittadini russi nella regione.

Il problema principale di questo piano, finora, è che l’Ucraina è stata piuttosto attenta a non cadere in nessuna provocazione.

Se la Russia dovesse comunque intervenire in Ucraina, la maggior parte degli analisti ritiene che un’invasione massiccia, che potrebbe portare per esempio a un’annessione definitiva del Donbass, sia improbabile, e per certi versi sconveniente per Putin: la Russia già adesso controlla di fatto il Donbass, e non avrebbe molto senso affrontare la reazione internazionale (che come minimo comporterebbe pesanti sanzioni economiche) per annettere un territorio molto meno strategico della Crimea.

È più probabile che, se la Russia deciderà di entrare in Ucraina, cercherà di strutturare il suo intervento come un’operazione di peacekeeping: potrebbe per esempio stanziare i suoi soldati al confine tra il Donbass e il resto dell’Ucraina per creare una zona cuscinetto, usando come pretesto l’aumento degli scontri. Mettere in atto una pretestuosa operazione di peacekeeping potrebbe avere molti vantaggi: consentirebbe di mantenere inalterato l’attuale e favorevole assetto territoriale, e inoltre manterrebbe aperta la possibilità di un intervento più massiccio qualora la Russia lo ritenesse necessario.

Un intervento militare in Ucraina potrebbe aiutare Putin anche nella politica interna: in Russia a settembre sono previste elezioni legislative e il governo negli ultimi mesi è stato messo in difficoltà da grandi proteste per la liberazione del leader dell’opposizione Alexei Navalny, oltre che a causa della cattiva gestione della pandemia da coronavirus e degli scadenti risultati economici. Un’operazione militare potrebbe aiutare a recuperare il favore dell’opinione pubblica.

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