(Theo Wargo/Getty Images For The Rock and Roll Hall of Fame)

Una canzone dei Duran Duran

Boomers o millennials: meglio avere sempre presente che siamo nati ieri

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C’è una canzone nuova di Stevie Nicks, nientemeno: e si annuncia un video di Cameron Crowe (ovvero il regista di Almost famous e del film sui Pearl Jam, tra le altre cose).
Stanno uscendo un po’ di articoli su Sade per via della pubblicazione di una serie di ristampe di suoi dischi. Mi piaceva segnalare che il Guardian sostiene che il suo “capolavoro” non sia uno dei suoi primi dischi più famosi, ma Lovers rock, dov’era la meraviglia di cui parlammo qui.
Oggi John Lennon avrebbe 80 anni – celebrati a Manhattan – non fosse stato per quel giorno là.

The chauffeur
Stamattina il titolo di un quotidiano chiama “boomer” Luca Guadagnino, che è del 1971. Un altro quotidiano, sempre stamattina, definisce “millennial” un ragazzo di diciassette anni. Tutto per via di questa smania di etichette che facciano sembrare tutti uguali per grandi categorie, che è più facile. Ma almeno andrebbero usate giuste, in modo che ci capiamo. I millennial sarebbero questa cosa qui. I boomer invece erano quelli nati fino alla fine del 1964, secondo la convenzione. Io sono boomer per sedici giorni (“L’ultimo dei boomer”), e il mondo è autorizzato a dirmi “ok, boomer“.

Questa mia partecipazione tardiva a quella generazione fece sì per esempio che dei Roxy Music mi accorgessi solo dopo, quando fecero quel meraviglioso disco di successo mainstream che si chiamò Avalon. Prima, mi trovai in quella condizione che ora – tutto si ripete uguale, uno impara – riconosco in certi ragazzi che si appassionano a questa o quella musica perché la vivono come “nuova” rispetto al resto, non conoscendo quello che già c’era stato prima.
E insomma pure io lo avrei capito qualche anno dopo, chi stavano imitando i Duran Duran quando arrivarono.

Non che fossero la mia band preferita di quel giro di meraviglie britanniche pop e new wave degli anni Ottanta, ma bisognava riconoscere che i Duran Duran seppero infilare gran canzoni (ovviamente Save a prayer su tutte): e avendo pazienza per il loro periodo di pigrizia imbarazzante seduti sul successo (Is there something I should know, The reflex, Wild boys) continuarono a fare belle cose anche negli anni del ridimensionamento successivo.

Ma le due cose migliori e più ricercate dei Duran Duran sono appunto quella che rivelò di più il loro desiderio di essere i Roxy Music (si chiama The seventh strangerchiudeva il loro disco scarso del 1983) e quella che invece era l’ultima del loro disco migliore e più famoso, Rio, The chauffeur. Che è proprio una canzone da chiudere, ma lasciando qualcosa di aperto, e inquieto: con quello scandire di tastiere incessante, e Simon Le Bon che srotola quel passaggio, che da solo rende superfluo un vero refrain e dà un senso alla declamazione di “siiing – blue silver!”.
And the sun drips down bedding heavy behind
The front of your dress, all shadowy lined
And the droning engine throbs in time
With your beating heart

Simon Le Bon è quello nella foto sopra, dell’anno scorso, bello da vedere stropicciato rispetto a quell’aspetto sintetico e leccato con cui li conoscevamo allora. Mi piaceva la foto perché Janet Jackson sembra chiedergli “mi ripete il suo nome, scusi?”.

And I’ll only watch you leave me further behind


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