Ettore Ferrare/Archivio Ansa

La lunga storia della moschea a Pisa

Da otto anni il progetto di costruirla viene ostacolato e contestato dalla Lega e da Fratelli d'Italia, ma contro l'ultima sentenza favorevole è intervenuto il Ministero dei Beni Culturali, guidato da un membro del PD

Da otto anni l’Associazione culturale islamica di Pisa sta cercando di ottenere i permessi per costruire una moschea nella periferia della città: aveva comprato il terreno su cui costruire e – nonostante molti problemi – aveva inizialmente il favore del comune per avviare i lavori. Da quando è stato eletto sindaco Michele Conti, della Lega, le pratiche si sono però bloccate. La nuova amministrazione ha fatto di tutto per impedire la costruzione. Della vicenda si è occupato anche Matteo Salvini, ribadendo la contrarietà della Lega alla costruzione della moschea. Ora, dopo che il TAR ha dato ragione all’Associazione islamica, il Ministero dei Beni e della Attività Culturali, guidato da un membro del PD, ha chiesto il ricorso al Consiglio di Stato. Alcuni parlamentari dello stesso partito si sono opposti.

La moschea
Poco fuori dalle mura di Pisa, all’inizio della strada che porta fuori città verso Lucca, c’è un terreno di circa 3.500 metri quadrati appartenente all’Associazione culturale islamica, che l’ha acquistato fra il 2013 e il 2014 facendo una colletta fra i suoi membri, con l’obiettivo di costruirci una moschea. Ora lo spazio viene utilizzato per occasioni di ritrovo, principalmente di tipo religioso, dalla comunità musulmana pisana. Tutti i venerdì mattina, per esempio, c’è una preghiera collettiva, in italiano, guidata dal presidente dell’associazione Mohammad Khalil.

Per il momento le attività religiose si dividono fra quello spazio e un altro, in centro città. Khalil ha spiegato ai giornalisti di Seconda Cronaca, una rivista locale che nel 2019 ha dedicato un numero alla questione della moschea, che la costruzione di un edificio religioso ufficiale permetterebbe di rinforzare l’unità della comunità e di ottenere un riconoscimento a livello nazionale, nella speranza di vedersi assegnare un imam professionista. Per il momento è Khalil che ricopre questa funzione, ma – aveva scritto Seconda Cronaca – lui stesso preferirebbe essere rimpiazzato da qualcuno di più qualificato, consapevole che il suo ruolo di riferimento all’interno della comunità lo rende per il momento la persona più adatta al compito.

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In molte città italiane i progetti di costruzione di moschee e le moschee esistenti (attualmente ce ne sono 10 in tutto il paese) incontrano l’opposizione di chi teme che diventino luoghi di aggregazione e radicalizzazione musulmana. Una legge della Regione Lombardia aveva addirittura vietato la costruzione di moschee, prima di essere annullata dalla Corte Costituzionale, ma in generale i partiti e i movimenti di destra si sono sempre opposti a ogni progetto del genere.

Il caso della moschea di Pisa è simile a quello di altre città, ma è particolare perché il piano di costruzione della moschea si trascina da otto anni ed è caratterizzato da moltissime contraddizioni e passi indietro. E racconta che l’opposizione alla costruzione delle moschee è spesso portata avanti con molti pretesti che cercano di aggirare il riconoscimento costituzionale della parità di trattamento per tutte le religioni.

Il progetto sotto il PD
Nel 2012 la giunta comunale del sindaco Marco Filippeschi, del Partito Democratico, approvò un variante al regolamento urbanistico che prevedeva alcuni rinnovamenti, fra cui la costruzione di una moschea locale in una zona allora destinata a uso residenziale. L’Associazione culturale islamica acquistò quel terreno fra il 2013 e il 2014. Nel 2013 la giunta comunale rinnovò il permesso per costruire la moschea, all’interno di una variante urbanistica che fu approvata con 23 voti a favore e 4 contrari.

Nel 2013 nacque il “Comitato No Moschea”, grazie a una raccolta di firme promossa dalla sezione locale di Forza Italia Giovani. I principali motivi di opposizione alla moschea erano dei sospetti riguardo alla provenienza dei fondi che sarebbero stati usati per costruirla – si parlava di un legame con il gruppo estremista dei Fratelli Musulmani – e la preoccupazione che la moschea diventasse luogo di radicalizzazione, con rischio di nascita di gruppi estremisti. In occasione dell’ufficializzazione della fondazione del Comitato il coordinatore regionale di Forza Italia Giovani annunciò anche l’intenzione di lanciare un referendum consultivo per bloccare la costruzione della moschea.

Nel 2016 l’associazione presentò formalmente il progetto per la moschea. Filippeschi definì il gesto «un segno di vitalità e di volontà di appartenenza piena alla nostra comunità» da parte della comunità islamica pisana. Chiese anche ai promotori del referendum di lasciar perdere, sostenendo che la campagna per il referendum cercasse «di aggirare in modo ipocrita un principio della Costituzione».

Ad aiutare nella raccolta firme si aggiunse però anche Susanna Ceccardi, della Lega, allora neo eletta sindaca del comune di Cascina, in provincia di Pisa, e che avrebbe negli anni successivi guadagnato molto spazio nel partito a livello regionale e nazionale. Ceccardi si disse preoccupata che gli abitanti di Cascina di fede musulmana, frequentando la moschea di Pisa, potessero aderire a eventuali gruppi estremisti, con conseguenze negative per la sua città.

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Molti elementi ostacolarono il referendum: prima un’irregolarità burocratica che rese non valide 2255 delle 2530 firme raccolte; poi le dimissioni di un membro della commissione che doveva valutare la richiesta; infine molte riserve riguardo alla formulazione della domanda, che in alcune delle forme proposte fu considerata non conforme alla Costituzione perché discriminatoria sulla base della religione.
Fra un intoppo e l’altro, a febbraio 2018 il referendum non era ancora stato fatto. In quel momento le elezioni comunali di giugno erano troppo vicine per promuovere una nuova votazione e quindi le operazioni furono sospese.

Il progetto sotto la Lega
A giugno 2018 fu eletto sindaco Michele Conti, della Lega – evento storico che concluse mezzo secolo di amministrazioni di sinistra a Pisa – con una campagna elettorale basata principalmente sul tema della sicurezza cittadina e durante la quale era stato promesso il blocco del progetto della moschea.

La nuova giunta comunale si espresse contro la moschea pochi mesi dopo le elezioni, sulla base di un nuovo progetto urbanistico che puntava alla valorizzazione dello stadio di calcio vicino. Nel 2017 il Pisa era stato promosso in serie B, per la prima volta dopo otto anni, rinnovando l’entusiasmo dei tifosi della squadra. La volontà di valorizzare lo stadio a danno della moschea fu motivata principalmente da queste ragioni, ma quando l’assessore all’urbanistica Massimo Dringoli, di Fratelli d’Italia, disse che rinunciando a quella zona – che per via della vicinanza dello stadio e di altri luoghi di aggregazione era molto trafficata e non avrebbe sopportato l’ulteriore carico di un luogo di culto – si sarebbe potuta costruire una moschea altrove, molti consiglieri della Lega risposero che l’opposizione alla moschea era un punto fondamentale del programma con cui erano stati eletti e che quindi ne avrebbero impedito comunque la costruzione.

Il nuovo assetto urbanistico prevedeva così di privare l’associazione del terreno posseduto, per costruire in quella zona un parcheggio. Il 15 novembre 2018 venne comunicato all’Associazione culturale islamica il preavviso di esproprio, malgrado l‘acquisto di quel territorio fosse avvenuto sulla base di un piano comunale che aveva promesso di autorizzare la costruzione della moschea. L’acquisto era stato finanziato grazie a una colletta fra i membri dell’associazione: ora la stessa autorità pubblica che aveva dato il via libera per l’acquisto ritirava il permesso di costruzione e addirittura richiedeva l’esproprio, sulla base di argomenti che non risultavano da nuovi elementi, perché lo stadio e gli altri luoghi di aggregazione erano già lì nel 2012.

Anche molti cittadini non musulmani si schierarono dalla parte dell’associazione: in particolare, i rappresentanti locali della chiesa cattolica e della chiesa valdese comunicarono pubblicamente di essere favorevoli alla costruzione della moschea in nome della libertà di culto.
A maggio 2019 un parere della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio in un primo tempo approvò il progetto presentato dall’associazione, ma si corresse dopo una settimana, dicendo di avere riscontrato un problema nel suo precedente giudizio: lo annullò e annunciò che ne avrebbe espresso un altro. A giugno 2019 la giunta comunale si basò fra le altre cose su questa comunicazione della Soprintendenza per rinnovare il divieto di costruzione della moschea.

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L’Associazione culturale islamica fece ricorso presso il Tribunale Amministrativo Regionale e organizzò una manifestazione contro la decisione. Khalil espresse la frustrazione condivisa da molti membri dell’Associazione: «l’amministrazione comunale tratta la comunità musulmana […] come se questa fosse composta da spacciatori o delinquenti che provocano danni alla città. Non tenendo conto che proprio la nostra associazione, formata nella stragrande maggioranza da persone serie e lavoratrici, plaude le forze dell’ordine quando intervengono su delinquenti di religione musulmana, persone che non hanno mai frequentato la nostra comunità e non la frequenteranno mai».

Inoltre spiegò che il continuo cambiamento di idee “moschea sì-moschea no” faceva perdere credibilità all’associazione all’interno di una comunità musulmana molto variegata, che comprende persone originarie di 27 paesi diversi e numerose sotto-comunità. Khalil ipotizzava che le sotto-comunità nazionali potessero decidere di creare dei luoghi di preghiera più piccoli e autonomi sparsi per la città. Se come presidente perdesse il ruolo centrale che ha acquisito nella comunità, sarebbe più facile per uno dei sotto-gruppi isolarsi dalla comunità cittadina, e l’isolamento è spesso uno dei fattori che portano alla radicalizzazione.

Gli ultimi sviluppi: moschea sì (per il momento)
Il primo giugno il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana è stato accolto.
La delibera di giugno 2019 che vietava la costruzione è stata quindi annullata sulla base del diritto fondamentale della libertà di culto (la sentenza cita due testi legislativi validi a livello europeo) e dell’uguaglianza fra le religioni (che appare nell’articolo 8 della Costituzione italiana). La sentenza considera anche che ci sia stato un «eccesso di potere per illogicità manifesta», facendo riferimento a vari elementi poco trasparenti dell’iter giuridico seguito dalla giunta comunale, fra cui il fatto che il diniego sia partito dal presupposto che la Soprintendenza avesse negato il permesso di costruzione, quando questa aveva invece sospeso il suo giudizio e ad oggi non ne ha ancora emesso uno nuovo.

Il 4 giugno il sindaco Conti ha detto che, nonostante la sentenza, il progetto urbanistico per lo stadio proseguirà. Ha poi descritto due possibili sviluppi: o fare ricorso presso il consiglio di Stato, o instaurare un dialogo con l’associazione con lo scopo di individuare un altro luogo nella città in cui costruire la moschea. Questa seconda ipotesi sarebbe quella promossa dall’assessore Dringoli di Fratelli d’Italia.

A questo punto sono però intervenuti Salvini e Ceccardi opponendosi all’ipotesi dell’apertura al dialogo, quest’ultima dicendosi «pronta a incatenarsi» per impedire la costruzione di una moschea a Pisa. Salvini ha spiegato che l’opposizione alla moschea è «un impegno della Lega con la città». Ha aggiunto che «oltre all’esistenza di vincoli paesaggistici e archeologici, non si può dimenticare il mancato rispetto da parte di un certo Islam di diritti umani e civili fondamentali, in primis quelli delle donne».

Diego Petrucci, leader pisano di Fratelli d’Italia, ha sostenuto Dringoli nel ritenere che il rifiuto della costruzione della moschea sia «un esercizio intellettuale disonesto, oltreché un errore». Anche secondo lui la moschea deve essere costruita, ma in una zona più adatta di quella attuale, di cui ha detto che è «a poche centinaia di metri dal duomo e dal campanile» e confliggerebbe «anche e non solo da un punto di vista di prospettiva paesaggistica, con il simbolo della nostra tradizione ed identità cristiana».

Alla fine è stata presa la direzione suggerita dalla Lega: il 15 giugno è stato presentato ricorso al Consiglio di Stato. Sorprendentemente, non è stato richiesto dalla giunta comunale, bensì dalla Soprintendenza e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, guidato dal ministro Dario Franceschini, del PD.

I parlamentari del PD Stefano Ceccanti, Susanna Cenni, Lucia Ciampi e Valeria Fedeli hanno presentato a Franceschini richiesta formale di ritirare il ricorso, difendendo la sentenza del Tar, che hanno definito «chiara» e «motivata in relazione alla Costituzione e alle Carte europee dei diritti»

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