Una canzone dei Cranberries

È inutile discutere ancora, resterai speciale per me, ma ora non ce la faccio più, ma proprio più

(Paul Jeffers/Getty Images)
(Paul Jeffers/Getty Images)

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No need to argue
Se non lo fai proprio di mestiere, di occuparti di musica e dischi, ti perdi un sacco di cose. Il solo essere curioso e appassionato non ti basta, e tanta musica la scopri dopo, grazie a qualcun altro che l’ha scoperta, sia tuo fratello, una tua amica, una rivista, un sito, o il mondo intero. Poi c’è quella quota minore di cose che hai invece notato subito, tra i primi, per qualche caso fortunato. Un disco appena uscito, che hai provato ad ascoltare, che hai notato annegato tra cento recensioni del mese, che ti ha colpito la copertina, va’ a sapere. Ci sei un po’ più affezionato, e devi stare attento a non fare la figura del fesso che dice “ah, io li conoscevo da prima”, come sto facendo io ora.

I Cranberries ebbero un successone col loro secondo disco, quello di Zombie e Ode to my family (più in generale: belle canzoni dei Cranberries) che uscì alla fine del 1994: erano già piuttosto famosi, perché dalla fine del 1993 era andato forte anche il loro primo disco, ma con gran ritardo. Era uscito quasi un anno prima senza grandi attenzioni, poi MTV aveva scoperto Linger e da lì era stata tutta in discesa, con ristampe, ripromozioni e appunto gran successo soprattutto americano ma poi anche in Europa.
Ecco, io quel disco lì lo avevo scoperto quando era uscito, sconosciuto, stressando il mio negoziante di dischi perché mi facesse sentire le cose appena arrivate (avevo 28 anni, non ‘sto ragazzino, ed ero un po’ come quei debosciati del negozio di Alta fedeltà). Fine di questa parte da fesso.

E insomma, loro diventano un fenomeno mondiale. Fanno gran canzoni rock, hanno una cantante donna molto cool che è pure il capo e scrive lei le canzoni: diventano in quei due anni la versione femminile degli U2 (già dal terzo disco finì: sempre gran successo, ma a calare), e lei affolla i poster in camera di un pezzo di generazione (quella più giovane della mia). E Zombie è ancora oggi una delle canzoni più note e speciali degli anni Novanta, capace di uscire dalle radio di tutto il mondo restando un pezzo rock aggressivo e tosto. Se sentite della nostalgia per quando era possibile, è perché c’è e perché diventiamo tutti così, prima o poi.

Ma alla fine di quel disco c’era “la canzone omonima”, No need to argue. Che è grande anche lei, in tantissime cose: nel funebre suono d’organo con cui inizia, nel modo stanco e disperato con cui lei sussurra, – nel coro alle spalle, nei suoi passaggi di tono – e nelle cose che sussurra, che è inutile discutere ancora, che resterai speciale per me, ma ora non ce la faccio più, ma proprio più. E se c’è una cosa che non sopporto è che lo sapevo da subito.
And the thing that makes me mad
Is the one thing that I had
I knew, I knew, I’d lose you
You’ll always be special to me

Dolores O’ Riordan, lo sapete, è morta a 46 anni nel 2018. Dolores. È finita triste, questa cosa.

No need to argue su Spotify
No need to argue su Apple Music
No need to argue su YouTube (qui con lei che la canta)