Una canzone dei Cars

"La canzone omonima", da prendere e andare

(Richard Shotwell/Invision/AP, File)
(Richard Shotwell/Invision/AP, File)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera.
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Heartbeat city
Nel 2016 sembrava che morissero all’improvviso tutti i più grandi: Bowie, Prince, Leonard Cohen (e Glenn Frey degli Eagles, e altri ancora). Nel 2018 tra i “monumenti” solo Aretha Franklin, (e Aznavour, altro campionato). Quest’anno nessuno di questa fama, ma tra quelli bravi due che avevano fatto belle cose negli anni Ottanta, ed è stato un gran dispiacere. Uno è Mark Hollis dei Talk Talk e ne riparleremo, l’altro è Rick Ocasek dei Cars, tre mesi fa. Fuori dagli Stati Uniti, dei Cars non si sa molto più che un pugno di canzoni al massimo, e più facilmente solo Drive, gran lentone di cui approfitto per consigliarvi la versione ancora più languida degli australiani Paradise Motel (era nella colonna sonora di quello strano film che si chiamava E morì con un felafel in mano).
Invece: oggi è il giovedì vivace, quello della canzone da mettere mentre ci si prepara ad uscire, invece che mentre si va a letto (quindi la mando un po’ prima), e in quello stesso disco – Heartbeat city – c’era “la canzone omonima”, come dicevano certi alla radio (quelli che dicono “un brano musicale”). Era l’ultima canzone, ma stavolta non è un’ultima canzone minimale, quelle da sipario e andare a dormire: è una canzone da prendere e andare, con quei suoni new wave e la batteria elettronica, visto che Jacki è tornato in città.
I’m glad you made it
I can’t complain
I missed you so badly
When you jumped that train

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