L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha accusato i politici italiani di «incitamento all’odio»

(FREDERICK FLORIN/AFP/Getty Images)
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L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, a cui partecipano parlamentari da tutti i 47 paesi che fanno parte del Consiglio, ha approvato un report sul rispetto dei diritti umani in Italia che denuncia un aumento dell’«incitamento all’odio» da parte dei politici italiani, che vengono invitati a «combattere efficacemente tutte le manifestazioni di razzismo, intolleranza e xenofobia». Il report ha anche criticato la recente chiusura dei porti italiani alle ong che lavorano nel Mediterraneo. Il report non è stato compilato per una richiesta precisa dell’assemblea, ma è il risultato di una valutazione periodica a cui sono sottoposti tutti gli stati del Consiglio.

Il report sull’Italia, votato nella stessa mozione di diversi altri, è stato approvato con 62 voti a favore, 11 contrari – fra cui quelli di diversi parlamentari italiani – e 3 astensioni.

Il Consiglio d’Europa non va confuso né col Consiglio dell’Unione Europea né col Consiglio Europeo, soprattutto perché non è un organo dell’Unione Europea. È una istituzione diversa, nata nel 1949 per promuovere la democrazia e i diritti umani: l’anno successivo ha poi prodotto la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, il trattato europeo più importante per il riconoscimento dei diritti delle persone, valido ancora oggi e applicato dalla Corte europea dei diritti umani. L’assemblea del Consiglio d’Europa ha sede a Strasburgo e ha 324 membri: sono i parlamentari di 47 stati, 28 dei quali fanno parte dell’Unione Europea.

Il 24 gennaio, il Comitato europeo dei diritti sociali, organismo del Consiglio d’Europa, è poi intervenuto in relazione a un ricorso collettivo della Cgil e dell’International Planned Parenthood Federation European Network del 2016 sulle modalità di applicazione della legge 194 per l’interruzione volontaria della gravidanza. Nella relazione si parla di «carenze nei servizi», di «disparità di accesso» e di «discriminazione» dei medici non obiettori e delle donne.